La Scrivania Letteraria

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Giglio in fiore

L’aria muove i tuoi petali dorati che profumano di caldi amori e di giornate soleggiate tra giardini bucolici e onde di maree leggiadre. Lo stelo si allunga smeraldino fluttuando insieme ad api di nettare affamate.

Giglio in fiore danzi in brezze di misteriose montagne, osservi il giardino, tuo luogo di vita e di gioia. Attendi che a te si accompagnino rose e girasoli per celebrare la natura, nutrice dei tuoi colori.

 

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Risplendi tu mia scintilla

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Risplendi tu mia invisibile e intangibile scintilla.

Posso urlare e chiamarti a gran voce,

ma tu arriverai, placida e ardente solo nel giusto attimo

dell’inizio mordente.

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Pallida luce

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Pallida luce

ingombri l’aria.

Ho bisogno di buio

per trovare il mio respiro

ma vivo con te

perché voglio vedere

le parole che illumini.

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Vorrei, ma ora non voglio

Vorrei accasciarmi a terra e urlare al mondo che non ce la faccio più. Riesco a malapena a respirare e il dolore per ciò che vedo intorno a me mi opprime.

Dolci parole delle persone amate tentano di tirarmi su il morale, ma cosa ne è di me dopo i complimenti, dopo gli apprezzamenti, dopo le lodi, se pare che le stesse persone che mi hanno rivolto certe parole, subito dopo sembra che voltino altrettanto dolcemente le spalle da un’altra parte?

Vorrei che nessuna parola fosse spesa per me quando è così difficile mostrarmi un sorriso sincero. Vorrei che nessuna stretta di mano fosse forte e calorosa perché sarà la stessa mano che stringerà gli artigli del diavolo.

Ora non voglio restare qui a pensare che sia tutto inutile, che non ne valga la pena, perché tra le mille mani e i mille sorrisi uno sarà vero, profondo ed eterno.

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Qualcosa

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Qualcosa dentro

che ha corrotto

i giorni

e le passioni.

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Perché sottolinei?

Eccola…sta arrivando. Me lo sento che oggi sarò io la vittima della tortura. Avrei preferito che avesse rinunciato agli studi piuttosto che essere acquistato e poi pasticciato come se fossi un uovo. Essere un libro universitario non è un’occupazione semplice…vorrei essere un romanzo, di quelli storici, oppure d’avventura! Che belle storie vivrebbe il mio lettore e invece mi ritrovo ad essere stato stampato per spiegare al mondo cosa sia la sofferenza, cosa sia il male e nemmeno in maniera semplice, ma con un linguaggio tale che il mondo a cui mi sono riferito non conta più miliardi di persone, forse qualche migliaio. Oh no! Ha preso l’evidenziatore dall’astuccio! Una cosa che proprio non sopporto sono gli evidenziatori, soprattutto quello verde! Prima di tutto tra qualche anno il colore sbiadirà e seconda cosa, la cellulosa di cui sono fatto si indebolirà. Mi auguro che capisca, prima o poi, che una matita è l’unico strumento adatto a sottolineare. Puoi cancellarne il tratto e riscrivere gli appunti a margine. Con una penna o un evidenziatore, una volta utilizzati, il danno è fatto.

Arriva! Ah diamine, una mezza pagina è andata. Spero che non debba studiarmi dalla prima all’ultima pagina per l’esame, altrimenti diventerò Arlecchino!

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Ombra errante

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Ombra errante nei ricordi

spente fiamme del

cristallizzato passato,

rido un po’ di te. Di me,

meglio foschi ricordi.

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Il passato, le genti e le storie. Mutevoli e molteplici scatti di una verità in bilico tra offuscamento e maligna vestizione. 

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Rabbia e dolore

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Rabbia e dolore.

Sentimenti e ardente passione.

Lungi da me non provarli,

ogni essere di umori è composto.

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Rabbia e dolore, i tifoni del sentimento, portatori di un distruttivo ardore che inneggia alla morte, all’eliminazione. Ma, tra le pieghe del cuore, disseteremo i nostri sensi e finalmente la sofferenza diverrà un passaggio e non la meta. 

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Un inizio in un giorno di festa

La sveglia suona presto in questo giorno di festa, mi alzo con il sorgere del sole e dopo pochi attimi, dopo i soliti riti del mattino, sono pronta per iniziare. Guardo che gli impasti siano soffici e ben lievitati; preriscaldo il forno che mi accoglie con la sua ventola. Preparo una trentina di palline e taglio la superficie con una Xcome se fossero tutte isole del tesoro, poi le dispongo in ordine su tre leccarde e le inforno. Una mezz’oretta e sarà pronto. Pulisco le mani sul grembiule azzurro come il bel cielo che mi ha accompagnata, apro il frigo, prendo il bricco del latte e ne verso un po’ in una tazza. Non credevo che avrei iniziato a usare il microonde, ma in assenza di una lancia per scaldare il latte, a cui ero abituata nel precedente appartamento, più lussuoso di questo e con più suppellettili, un microonde va più che bene. In realtà, lo uso solo per scaldare il latte al mattino. Apro l’anta in alto a sinistra della credenza e prendo il piatto su cui sono riposti i biscotti che ho preparato ieri per la colazione: cannella e zenzero con gocce di cioccolato fondente. I miei preferiti.

Mi siedo sul tavolo, le gambe penzoloni, ad osservare gli impasti che crescono sotto la luce avvolgente del forno. Ho impiegato qualche tempo ad imparare ad usarlo. L’appartamento era ammobiliato e ho cambiato solo il materasso; un matrimoniale con due materassi lo trovo insopportabile…mi ritrovavo sempre in mezzo e impigliata nelle coperte che si avvinghiavano alle gambe. Termino la mia colazione e ripenso agli anni precedenti; sono in una terra che non conosco ancora bene. Mi sono trasferita giusto un mese fa, ma il giorno di festa lo celebro anche se a pranzo non avrò i parenti, ma ci sarà l’anziana ottantenne Dora dell’appartamento dall’altra parte del cortile, il vicino di appartamento Pasternac sui trent’anni e Guglielmo, il padrone di casa nonché residente al pian terreno. Ho subito notato un fatto di questo caseggiato di campagna appena fuori dal paese: siamo tutte persone sole. E non voglio che i miei vicini, seppur dei totali sconosciuti, seppur soli, rimangano tra le loro quattro mura ad osservare il bel tempo in solitudine, accompagnati solo dal brusio fastidioso delle televisione. Non mi piace pensare alla distanza, non in questo periodo di cambiamento. Mi fa soffrire. E per questo giorno voglio abbattere ogni sorta di distanza, che sia un mattone, l’essere sconosciuti ad altri, la timidezza e la diffidenza.

Manca poco meno di un quarto d’ora alla cottura dei panini. Ripongo i biscotti in ordine, metto la tazza nel lavandino e inizio a prendere tre o quattro ciotole, il pinipimer, la pesa, il dosatore in cui verserò i bianchi d’uovo che monterò a neve e tutto l’occorrente per preparare una torta che è da molto che non cucino: latte, rum, lievito, farina, maizena, uova, panna, zucchero, miele, canditi di cedro e le immancabili gocce di cioccolato bianco. Prima di iniziare apro la finestra e sento il profumo del sugo di carne che arriva dal pian terreno, dalla cucina di Guglielmo; annuso un po’ meglio ed ecco il lauro del coniglio al civet dalla casa di Dora. Chissà cosa porterà Pasternac? Lui è un tipo tutto silenzio e disagio sociale; fa il ricercatore nell’università situata a una trentina di chilometri da qui. Ha detto che preparerà qualche piatto tipico della sua terra, il Portogallo.

Termino l’impasto per la torta ed ecco il timer che suona. Sforno i panini, verso in uno stampo l’impasto e lo metto in forno. Per lei dovrò aspettare un’oretta e avrò tutto il tempo di preparare gli antipasti. Finita la cottura taglierò il pan di spagna e ne farò tre cerchi, aspetterò che si freddino, intanto preparerò la crema e poi farcirò il tutto.

Sorrido a Uiny, il mio gattone nero dai baffi e il muso arancione. «Staremo qui un bel po’ mio caro batuffolone di pelo…staremo qui per un bel po’…e sarà meglio farci nuovi amici». Sento una voce che mi distrae e mi affacciò alla finestra. Dora mi sta chiamando «Elenor vieni da me per il caffè!». Le sorrido. «Va bene! Arrivo!». Uiny mi guarda interrogativo “ma come, mi lasci solo?”. Lo accarezzo, metto le scarpe ed esco, lasciando la porta aperta. Il casolare è il primo luogo in vita mia che sento sicuro e…pacifico. Attraverso il cortile e Dora mi attende sulla porta. La sua permanente è perfetta, è andata dalla parrucchiera ieri. Regge un vassoio che appoggia sul tavolino appena fuori dalla porta. «Godiamoci insieme questo bel sole». Faccio un segno affermativo con il capo e sorseggio il caffè.

“Sarà un bel pranzo” penso mentre osservo il cielo e guardo con la coda dell’occhio il sorriso quieto dell’anziana signora. Non ho mai visto una leggerezza tanto incantevole nell’espressione del volto di una persona.

 

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Cosa pensa Crassula

Ahhhh, che bella giornata! Ma guardate! Il sole splende, i corvi e le gazze fanno un po’ a botte per i pezzi di pane secco che il vicino butta per strada – un po’ zoticone non trovate?! -, il cielo è azzurro, si vede il parco con i rododendri, da qui, una volta Giulia ha detto il nome, ma non me lo ricordo proprio… Va beh, vi dicevo, gli alberi sono rigogliosi, spuntano i primi fiori nel prato, i profili dei tetti antistanti la mia finestra bollono già per il caldo. Sento proprio che ormai la primavera è iniziata! Ormai so già che tra poco, finalmente, potrò sentire l’aria fresca accarezzarmi, riuscirò ad essere in prima fila per vedere l’alba e godermi i raggi del sole e, per fortuna, quando arriverà l’estate e ci sarà un temporale in procinto di abbattersi su questa casa, Giulia si ricorderà di spostarmi. Perché dovete sapere che io so quali sono le mie origini, so dove sono le mie radici, ma l’unico modo in cui posso muovermi è con il vento. Mi racconta tante storie ogni volta che passa dal balcone, oppure quando la finestra è aperta e spira una brezza in sala. Sapete, ogni tanto mi racconta cosa capita in città e le dicerie, o i pettegolezzi del paese. So che in questo periodo per le persone la situazione è critica, c’è un’epidemia e stanno morendo tante persone…mi dispiace un po’, ma se solo sapessero cosa vuole dire essere una pianta in un vaso, in un clima che non mi appartiene, in un luogo in cui morirei d’inverno se stessi all’aria aperta, beh…avrebbero un’altra visione di cosa vuole dire vivere. Una cosa che nessuno sa è che le piante sentono i pensieri, sapete, tutto è elettricità, tutto è chimico, elettroni e cose varie, Giulia non è ferrata in certi argomenti, a lei piace di più tergiversare, chiacchierare, scrivere, arrabbiarsi, piangere, farsi domande esistenziali che alla fine raccoglie quasi sempre con un pugno di mosche, però è divertente vedere la sua voglia di cambiare le cose…che poi può cambiare le sue cose, mica le altre cose del mondo! Beh…vi dicevo che la situazione è critica e lo è stato anche per me, ma vi dirò dopo perché amo divagare. Si può dire che mia madre sia Giulia; fin da piccola ha avuto tre fisse: gli animali,  le piante e la scrittura. Non è un animalista, ma crede nel profondo rispetto delle forme di vita e crede che ognuna di loro abbia un destino, o così ha detto – cambia idea davvero spesso perché molte volte le sue idee finiscono per arrivare a una contraddizione tale che si mette a scrivere e non mi considera per giorni, anzi, non ci considera per giorni perché tra tutte, noi piante siamo una ventina più o meno -, poi noi le piacciamo!!! Che bello, noi le piacciamo, ma le piacciono anche i boschi, le foreste, le verdure, gli alberi da frutto e ha un debole per i faggi. Poi le piace scrivere. Sapeste quante volte mi ha lasciata a secco, un’infinità, per fortuna non sono una ninfea e lei non possiede un giardino con laghetto! Insomma, lei scrive e scrive e scrive e dice che non sa mai cosa scrivere! Eppure scrive e parla di scrivere, racconta che scrive, ha pure iniziato a studiare, tre anni fa, come scrivere, quando scrivere, chi ha scritto cosa, perché uno ha scritto dell’altro, perché ci sono i libri che parlano di scrivere e i libri che parlano dei libri! Ci sono le persone che parlano di libri, tante, tante e tante. Lei usa il suo Pc, che chiama sempre con tenerezza catorcio – ricordatevi che so cosa pensa quando dice le cose -, scrive e scrive, impazzisce per i disegni, per le foto, per le domande, le interviste…sapeste quante volte ho pensato io “adesso posso dire che lei è al posto di un balcone”, se capite la battuta! Mi ritengo una pianta fortuna, mi chiamo Crassula, o pianta di giada, ma io per Giulia sono “la mia piantina” e mi vuole davvero bene. Tranne quando non mi bagna, lì non è che non mi voglia bene, ma la pigrizia entra a spada tratta nel suo cervello e le fa passare la voglia di fare le cose. Ora che ho divagato vi racconto perché la mia situazione è stata critica; Giulia si è trasferita e io con lei…purtroppo le altre mie sorelle sono ancora nell’altra casa, quindi non le vedo da un bel po’. Prima della quarantena Giulia voleva anche andare a prendere qualche sorella, però non ha fatto in tempo – le altre volte si è dimenticata e le altre ancora era troppo pigra – e quindi mi ritrovo con altre sorelle, non delle mia specie, ma pur sempre sorelle. Qui al mio fianco c’è sorella Beaucarnea, lei è una che comunemente chiamano mangia fumo, anzi, nei vivaio la chiamavano solo così perché le persone non sanno come si chiama e quindi ogni tanto la prendo in giro. Fino a quattro giorni fa vicino a noi c’era anche la Monstera deliciosa, ma è stata spostata. Io…sinceramente, adesso che lei è più lontana, posso dire che un po’ di timore mi incuteva, con quelle foglie giganti! Per farvi capire sono un po’ triste e un po’ assetata perché Giulia non mi bagna da un po’ di giorni; è tutta presa a fare recensioni, segnalazioni, a scrivere; ha deciso di scrivere un altro libro e l’altro ieri ha passato tre ore a parlare a raffica e registrarsi, così “sbobina” il libro, ma tanto lo modifica e ci mette una vita a fare le cose perché ha sempre il timore di scrivere anche se ama farlo. Vi dicevo che Giulia si può dire mia madre in riferimento alla sua seconda fissa per le piante. Un bel giorno, di almeno dodici anni fa, è andata a comprare una piccola Crassula in un vivaio, beh, la Crassula è cresciuta e Giulia si divertiva a fare delle talee. Devo dire che il suo intento è riuscito; io sono la quarta generazione! E la prima è ancora viva e vegeta! Vedeste che belle che siamo!

Ora però parlo un po’ della mia vita da pianta in vaso. Giulia ha cambiato il vaso e la terra tre o quattro volte e due anni fa ha deciso di “potarci”…pessima idea, ogni volta che lo fa mi strappa via dei pezzi! Non che faccia male, anzi, quando poi mi guardo mi sento davvero bene con me stessa! Mi piace come mi fa crescere, anche se sembra in apparenza doloroso. Ogni tanto Giulia è triste per noi…insomma, lei ci ama, ma sa che noi possiamo vivere solo se lei vive o se ci dà a qualcuno che sia in grado di prendersi cura di me, di noi. Anch’io sono molto triste ogni tanto…vedo gli animali volare, lei andare via in…macchina – la chiama twingeuse -, poi torna e poi va, poi mi accarezza poi va…io sono sempre qui. La mia vita è un po’ monotona se penso al fatto di non potermi muovere, ma se penso a quando parlo con le altre, beh…noi viaggiamo come vi dicevo prima, con l’aria. Tutte noi piante siamo collegate, noi in vaso lo saremmo di più se fossimo a terra, ma non vuol dire che siamo escluse dal dolore del mondo. Io mi sento fortunata perché sono in una casa e un essere che non è una pianta mi vuole bene, mi assicura un bel posto in cui vivere esperienze che in un litorale marino, in un bosco o in altri posti non potrei vivere. Sento sia l’amore di tutte noi piante, della terra di cui facciamo parte, sia l’amore diretto di un essere vivente. Sono belle cose queste. Che una pianta apprezza. Invece quando parlo con il pino davanti a casa alle volte inorridisco e mi si gela la linfa! Disboscamenti, inquinamento, anidride carbonica e tutte queste orribili e terrificanti parole. Io Giulia non la vedo demoniaca – è una parola che usa molto quando si mette a filosofeggiare – come i bruti che pensano all’Ebano e al Palissandro solo per farne ponti di chitarre e tavoli per avidi esseri umani, io proprio non vedo in lei, negli amici e nei parenti che vengono a trovarla, tutta questa cattiveria nei confronti del mondo, di noi piante…però esistono persone così. Una domanda che noi tutte piante e anche le persone suppongo che si facciano sia, cosa dovremmo fare di queste persone?

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