Qualche giorno fa, in settimana, una giornata splendida ha modificato i piani organizzati per la giornata. Il sole e i colori dell’autunno, con tanto di cielo azzurro, mi hanno attirata verso una valle che da sempre ha percorso con me l’infanzia, l’adolescenza e la prima maturità.
Ho bevuto un buon caffè nel locale a cui sono fedele da anni e poi mi sono diretta verso il silenzio e la meraviglia della contemplazione. Appena sorpassato il panorama urbano, ha attraversato diversi paesi e poi, tra una curva e l’altra, si è mostrata, in tutta la sua forza e in tutta la sua indifferenza, la natura. Il viaggio è durato poco meno di una mezz’ora e ho incontrato macchine, furgoni e passanti. Mi sono chiesta come loro non sentissero il vibrare mordente dell’ambiente intorno a loro. Ho pensato come la quotidianità potesse inebetire lo sguardo e influenzare il pensiero, come siamo immersi nelle faccende e negli obblighi della vita che nemmeno ci rendiamo conto di quanto sia spettacolare ciò che ci circonda. Avrei voluto fermarmi a fotografare tutto intorno a me, dalla strada asfaltata in cui il colore scuro aveva preso vita con il sole, ai boschi impervi, fino agli ultimi fiori malgrado la fine di ottobre ormai prossima.
Durante i chilometri che ho percorso, la musica era il sottofondo della mia sorpresa, del gioioso mostrarsi della perfezione della natura, della magnificenza dei suoi colori, delle qualità che i miei sensi stavano registrando senza sosta. La vista era ebbra di luce e il corpo scosso da fremiti di passione e di fame. Avrei voluto fare mia la beltà che mi accompagnata per l’intero pomeriggio.
Ho parcheggiato e alcuni abitanti del pugno di case immerse nel bosco,mi hanno osservata. Non ero di certo abbigliata per andare in montagna, però sapevo che il vestito e la giacca leggera non avrebbero precluso la possibilità di una passeggiata lungo il torrente gorgogliante. Ho scattato un bel po’ di fotografie, ma ciò di cui mi sono resa immediatamente conto è l’incapacità della natura di mostrarsi nella sua pienezza in meccanismi umani. Noi la indaghiamo, l’abbiamo studiata nei secoli, abbiamo cercato in essa risposte e leggi, l’abbiamo imbrigliata e governata, ma nulla della sua purezza rimane all’uomo se non lo scatto impresso nella memoria di ciò che vuole condividere.
Sono rimasta seduta in silenzio ad ascoltare la melodia dell’acqua e il soffio dell’aria fredda. Ho osservato il movimento delle chiome degli alberi, immaginando di essere una di quelle foglie dorate e ballerine. Sono rimasta incantata dall’immobilità degli edifici, coricati sulla valle, a bearsi del caldo dell’inaspettata giornata.
La valle mi ha abbracciata con dolcezza, non lascia scampo e mi sono di nuovo innamorata di lei, della pericolosità che si può nascondere sotto alle pietre e ai mucchi di foglia, alla potenza dello scorrere dell’acqua sugli impervi declivi, alle spoglie murarie degli esseri umani che hanno vissuto e calpestato quella terra prima di me.
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