Critica della ragion pratica
Immanuel Kant
Traduzione di Francesco Capra – Introduzione di Sergio Landucci
Pubblicata nel 1788, la Critica della Ragion Pratica è la seconda in ordine cronologico nella serie delle tre critiche; rispettivamente la Critica della Ragion Pura nel 1781 e la Critica del giudizio nel 1790.
Secondo Kant, la “ragione pratica” è ciò che guida l’agire, quindi è esclusa la razionalità teoretica e la razionalità tecnica. Nelle trattazione Kant afferma che un’azione è moralmente valida quando soddisfa il criterio di universalizzazione e quando viene compiuta nella interiore adesione alla legge morale. La critica parte della constatazione del fatto che in ogni uomo è presente una legge morale e sostiene che il senso ultimo della ragion pratica è il sommo bene, cioè l’insieme di virtù e felicità.
Incipit: “La seguente trattazione spiega abbastanza il motivo per cui questa Critica non è intitolata Critica della ragion pura pratica, ma semplicemente Critica della ragion pratica in genere, benché il parallelismo di essa con la ragione speculativa sembri richiedere il primo titolo.”
Ad apertura di libro: “Certamente, nell’esperienza di date azioni come eventi del mondo sensibile, noi non potevamo sperare di trovare questa connessione, perché la causalità mediante la libertà deve sempre esser cercata fuori del mondo sensibile, nell’intelligibile.”
