La giornata sarebbe stata lunga, irta di emozioni strazianti, osannata nel nuovo inizio dopo la caduta della vita. L’alba era florida e fertile di sicurezza, pronta ad affrontare il dolore e la sofferenza del primo mattino. Le vesti sobrie e scure accompagnarono il pensiero fino alla prime ore del pomeriggio, fino a quando non giunse la chiamata. Un semplice squillo in una parte remota della mente e subito lo spirito si svegliò, liberandosi dalle lacrime di compassione e di dolore, passando per il palpitare del cuore e le mani tremanti.
Che fare? Rispondere subito alla chiamata, ostentando una ricchezza e una conoscenza altrui che ancora non si possiede, tanto da soddisfare la vendetta dopo le maldicenze e le critiche, oppure osservare in maniera ossequiosa il rispetto? La seconda scelta fu la decisione migliore, perché bloccò ciò che sarebbe stata la distruzione, dell’attimo fuggente, del secondo di leggerezza prima della profonda modifica della restante parte del giorno, pesante tanto quanto un masso di montagna e travolgente quanto le oceaniche onde burrascose.
Rimasero le radici nell’angolo, però il germoglio stava spaccando la terra del quotidiano, stava crescendo sulle ombre della normalità, sulle impronte della frustrazione. Ore passarono tra fumi di alcol e fiumi di cibo, senza lasciar spazio alla freschezza riposante della brezza.
L’autunno non si era ancora mostrato, ma la primavera venne dipinta con colori di alta fattura e di magnifico pennello, al suono delle parole del giorno che fu innalzato a più bello, di un mese pesante e caduco, che solo settembre può esserne il nome e stendardo. La chiamata giunse controllata, da voce sicura e gentile, seguite da parole sobrie e sincere. La notizia venne data in maniera ossequiosa e di tanto amore si riempì il cuore. Che dire, la valanga stava cadendo, la piena dei Nilo stava distribuendo il limo adatto al seme e al risveglio di quella ispirazione tanto cercata e resa possibile e reale dal vento, racchiuso in quella folata di smarrimento. Le pagine di carta si trasformarono in oro e l’inchiostro divenne ossidiana, impressa nel cuore e nella mente di coloro che ebbero l’ardore di leggere attentamente.
La giornata non era ancora finita però, mancava l’ardimento, mancava il silenzio e questi atterrarono, prima l’uno e poi l’altro, prima uno nell’amicizia e il secondo nell’amore. Essi volarono alti cielo e si posero negli animi delle persone solo quando si levò la sera e dipinse di nero il cielo ammorbato dall’ultimo sole morente.
Raggiunsero l’apice le risate e le paranoie, a braccetto con il gustoso liquore, versato in bicchieri ghiacciati e appannati, dal calore del cuore e dagli spasmi di un dolore. Esso veniva crescendo con la comprensione che il sole non era tramontato ma sorto con l’approssimarsi dell’avventura, dipinta sulle pareti e urlata tra le mura dei palazzi cittadini, custodi delle considerazioni che venivano esclamate a voce alta e prendevano vita, malgrado l’altro fautore dell’opera fosse travolto dall’implosione delle sensazioni e dalla paura che fosse tutta una farsa.
La stilettata non avvenne quando giunse il congedo tra i due autori, perché si trattava solo di un mero saluto, ma giunse quando se ne parlò nel cuore della notte, in preda alla stanchezza abbracciata però dall’ardore. Quando le luci si accesero sulle scale, le parole inondarono l’aria e divennero macigni ad ogni gradino, perché non vennero corrisposte, se non da un invito a entrare, nella casa in cui sembrava che la creazione si fosse fermata, per lasciare spazio alla quiete e alla felicità senza durata. Il dolore tornò come all’alba ma nessuno se ne curò. L’ansia della perdizione fece capolino ma nessuno si ridestò. Chi era il giusto? Chi era l’errante? La giornata era finita ma la mente ancora scalpitante fece vivere i sentimenti nel sogno, portando il corpo in un mondo beato e nuovo, irto di situazioni grottesche e amori svelati, infiorettato dalla maschera che portano gli innamorati dannati.
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