Introduzione
Problematica e senso della fenomenologia
Una prima e parziale definizione di fenomenologia potrebbe essere “analisi delle diverse modalità di conoscenza con cui opera la soggettività”. In linea con questa definizione Husserl, padre della fenomenologia, più volte ribadisce che il suo unico tema è proprio la soggettività.
Queste modalità, che possono essere definite “strutture di coscienza” e che nell’analisi fenomenologica vengono ricomprese nell’espressione “atti di coscienza”, sono a un primo livello – senza contare cioè le modalità che ineriscono a sfere più complesse come quella estetica, del sentimento e della volizione – la percezione, il ricordo, l’immaginazione, nonché quelli che Husserl chiama atti categoriali, intendendo atti ai quali è inerente una dimensione linguistica e ancora più specificamente predicativa, ovvero nei quali si afferma qualcosa di qualcos’altro facendo subentrare una dimensione di significato e proposizionale.
Queste problematiche sono sempre state al centro della ricerca filosofica, si pensi agli empiristi inglesi e a Kant. Ciò che distingue le analisi fenomenologiche è il metodo con cui queste modalità devono essere comprese. Questo metodo è l’afferramento-intuizione delle essenze, definite da Husserl col termine greco Eidos, reso possibile da un passaggio preliminare, definito, con il termine anche in questo caso greco Epochè: concretamente l’Epochè è la “messa tra parentesi”, di una serie di parametri che attengono alla realtà fisica o fisiologica e alla dimensione psicologica concreta dell’individuo empirico.
Per esempio, analizzando il ricordo, nell’atto del ricordare in termini fenomenologici, dovrò “mettere tra parentesi”, non tener conto del fatto che sia un ricordo particolare derivato da particolari stati mentali o esperienze, che avvenga per associazione rispetto ad altri ricordi; che sia un ricordo di un oggetto particolare o di un’esperienza particolare; che in termini neurofisiologici sia attivazione di certe aree della corteccia piuttosto che di altre
Per esempio, analizzando l’immaginazione dovrò neutralizzare gli stessi parametri del ricordo e inoltre, il fatto che l’atto immaginativo riguardi un oggetto esistente o non esistente
Per esempio, analizzando la percezione dovrò non tener conto del fatto che si tratti della percezione di un certo oggetto piuttosto che di un altro, che avvenga in certe condizioni di luminosità piuttosto che in altre.
Una volta preparato il terreno attraverso l’Epochè potrò applicare il procedimento dell’afferramento-intuizione delle essenze. Semplificando, possiamo consideralo come una forma particolare di osservazione “diretta all’interno”, anche se non di introspezione.
Lo sguardo “si dirige” sull’atto stesso del percepire, del ricordare, dell’immaginare e su ciò che in questi atti appare si manifesta (da qui il termine fenomenologia) come contenuto di coscienza, cercando di fissare le caratteristiche universali, non casuali e non individuali di questi atti e di questi contenuti. Ciò può avvenire attraverso il procedimento della variazione appunto eidetica. Prendendo come spunto un singolo atto e il suo correlato oggettuale, per esempio un ricordo, vengono fatte variare una serie di caratteristiche cercando di “vedere” se si tratta di proprietà casuali inerenti cioè a un particolare ricordo, al fatto che si presenti in un certo modo, oppure essenziali così che qualsiasi atto del ricordare non può non avere queste caratteristiche.
Si osservi che l’Epochè e l’intuizione delle essenze vengono distinti a livello espositivo ma i due procedimenti possono anche essere visti l’uno come il rovescio dell’altro o comunque come intrecciati. Alcune delle caratteristiche che vengono rese oggetto direttamente dell’Epoché potrebbero entrare anche nel procedimento della variazione eidetica.
Attraverso la libera variazione delle possibili caratteristiche del ricordo, comprendo che un suo carattere essenziale non è il fatto di presentarsi come immagine. Un certo individuo può ricordare qualcosa visualizzandolo ma un altro potrebbe farlo attraverso una semplice riattualizzazione di una descrizione linguistica dell’oggetto. Se poi affermassi che è essenziale ad un ricordo essere labile o sfumato dovrei però tener conto del fatto che possono esserci ricordi vividi e chiarissimi. In questo senso è facile comprendere che non possono essere questi aspetti a distinguere un ricordo da una percezione. Non necessariamente una percezione – solo perché essa dà la cosa in carne ed ossa – è più chiara e vivida di un ricordo. Possono esserci percezioni sfumate ed oscure in cui non è possibile identificare l’oggetto con chiarezza ed esso si rivela alla fine altro da quello che si era creduto, mentre come abbiamo osservato, un ricordo può affermarsi con una nitidezza a volte persino dolorosa.
Considerazione di un atto linguistico-categoriale: se, osservando l’aula dove in questo momento mi trovo guardo davanti a me e affermo “la cattedra è davanti alla lavagna”, tra la mia affermazione e gli oggetti che in essa vengono nominati non sussiste nessuna relazione essenziale, per cui caratteristica dell’atto sarebbe descrivere quanto più esattamente possibile la realtà, essere una semplice fotografia, una esatta riproduzione della mia percezione, di quello che si dà davanti ai miei occhi. Gli oggetti menzionati non sono lì che attendono di essere messi proprio in quel rapporto espresso dalla forma linguistica. Nel mio campo visivo entrano innumerevoli oggetti e rapporti tra essi. Avrei potuto affermare “sopra la cattedra ci sono dei libri “, “la cattedra è a sinistra della porta”. Ciò che è essenziale è che ci sia un atto proposizionale (atto categoriale) che sposta il nostro rapporto con la realtà dal piano percettivo ad un altro piano e collega sì percezione e pensiero ma non nel senso della riproduzione linguistica della percezione, come se appunto la proposizione fosse l’immagine linguistica della realtà.
Io sto collegando attraverso la copula due oggetti secondo un mio interesse soggettivo: io sto constatando qualcosa (nella concezione husserliana del linguaggio l’aspetto comunicativo è secondario. Un atto linguistico è primariamente espressione del pensiero ed è irrilevante che venga espresso o no): ieri la cattedra era in un’altra posizione. Quando entro in classe inizialmente l’atto percettivo non si unifica con il mio decorso percettivo abituale (ho sempre percepito la cattedra nell’altra posizione) e quindi, in un secondo momento, constato che la cattedra non è più dov’era prima. All’atto percettivo si collega l’atto di pensiero (categoriale) in cui prendo coscienza del nuovo stato di cose.
A prescindere da quelle che possono essere le differenze tra ricordo e percezione o tra atti di coscienza qualsiasi, un aspetto fondamentale del metodo fenomenologico è la rinuncia al concetto di immagine mentale. I contenuti mentali – quello che è presente, si manifesta, appare nella coscienza quando si effettua un particolare atto di percezione, rimemorazione, immaginazione, pensiero non devono essere considerati come immagini dentro la coscienza. È questo un punto su cui Husserl insiste ripetutamente. Non esiste da una parte l’Io e dall’altra l’oggetto reale che, nel caso della percezione, imprime nella coscienza un’immagine quale proprio rinvio rappresentativo immagine che poi, per esempio, si risveglia nel ricordo in forma meno vivida. Un ricordo può darsi attraverso immagini ma ciò, come abbiamo visto, non è una sua caratteristica necessaria. Lo stesso vale per l’immaginazione che, in una concezione ingenua, porrebbe/creerebbe immagini di oggetti non esistenti (mentre invece attraverso l’analisi fenomenologica si mette in luce che la sua caratteristica essenziale è, oltre ad altre, il dare l’oggetto con un contrassegno di neutralità rispetto alla posizione d’essere).
La rinuncia al concetto di immagine mentale prepara il terreno ad un altro concetto fenomenologico fondamentale quello di intenzionalità: la coscienza è sempre diretta a qualcosa “intenziona” qualcosa. La coscienza è sempre coscienza di qualcosa in un modo e deve essere analizzata sulla base degli stati precisi in cui essa si trova in riferimento a questo qualcosa.
Nella percezione qualcosa è percepito, nel ricordo qualcosa è ricordato, nel pensiero qualcosa è pensato. La sua apparente ovvietà nasconde l’aspetto chiave dell’analisi fenomenologica e cioè comprendere la coscienza come insieme di atti di cui vanno chiarite in maniera descrittiva le caratteristiche strutturali e nei quali deve essere fatto emergere un aspetto soggettivo (Noesi) ed uno oggettivo (Noema). Questo è il modo in cui l’oggetto si presenta si dà alla coscienza (quindi distinto dall’oggetto reale) in quanto percepito, ricordato ognuno con caratteristiche diverse.
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Appunti universitari, materiale fornito
Riferimenti bibliografici: Porro-Esposito 3 filosofia contemporanea
GC – The Melted Soul
3 risposte su “Filosofia contemporanea – I”
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