La Scrivania Letteraria

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I consigli di lettura

Il quartiere dei sogni perduti, Harlem di Luca Leone

“Tutto era incominciato da lì e tutto lì ritornava”

— Harlem, Luca Leone

Tra i miei consigli di lettura trova un posto particolare il romanzo storico Harlem, di Luca Leone, a cui ho voluto dare un titolo di per sé adatto a un commento: il quartiere dei sogni perduti, Harlem.

“Perché ‘sogni perduti’?” Forse te lo stai chiedendo e la risposta è parte integrante della recensione.

Il sogno tratta di una componente simbolica carica di significati che l’inconscio vuole trasmettere ai momenti di veglia per comprendere ciò che accade, le scelte fatte e le emozioni annidate nei recessi dell’umano. Perduto perché in ogni personaggio ho percepito una perdita. Approcciandomi ai protagonisti, Pee Wee e Joe, ho notato attraverso la narrazione precisa e cruda dell’autore una sensazione di perdita continua. In questo caso ciò che risalta di più, soprattutto nella prima fase storica del romanzo (dal 1964 al 1968) è la perdita dell’ingenuità dell’infanzia e della prima adolescenza. Tale avvenimento presumo inerisca, per il periodo storico della narrazione, al tentativo di riprodurre la drammatica situazione della vita della maggior parte dei giovani di Harlem; questo elemento crea un pathos di continua aspettativa, timore e tensione. Subito dopo l’autore conferma come per la strada vi siano galoppini e frontman al soldo di un certo Boss, il quale tesse le fila della delinquenza e agli occhi di tutti risulta intoccabile.

Lui voleva alleati, non nemici: meglio avere un feudo nascosto piuttosto che ostentare potenza.

Non c’è posto in queste strade dissestate, nelle case sovraffollate e stantie di muffa e tra i coetanei per la spensieratezza. Bisogna crescere e soprattutto bisogna fare soldi. Dalla loro parte, Pee Wee e Joe hanno un talento per il basket; Pee Wee sarà il primo a venire presentato come frequentatore del Rucker Park, gestito da Holcombe, poi arriverà anche Joe, il quale entrerà a far parte del sistema di Boss.

Rucker vide che le lacrime rigavano le guance di Joe e il cuore gli si strinse. Il suono della palla che rimbalzava sull’asfalto riportò entrambi immediatamente al presente.

Nella prima parte della narrazione fa il suo ingresso il reverendo Williams, colui che rappresenta sia l’antagonista che il protettore e salvatore di coloro che non intendono seguire la ‘via della strada’. Williams sente personalmente le contraddizioni, vede gli scontri e le violenze che avvengono nel quartiere. Secondo il suo modo di agire, le sue azioni, i suoi pensieri e più in generale la sua vita, sono volte al bene per i più giovani, i quali sono facili prede della semplicità con cui si può cadere nel malaffare. Cerca di osteggiare la criminalità e la sua chiesa è un punto di riferimento per color che sono in cerca d’aiuto.

Il bene e la luce attraggono che vive sempre nel buio.

Oltre a Pee Wee Joe incontra Goat al Rucker Park. La storia personale di Goat l’ho trovata pregna del senso di disperazione, desolazione e paura che può cogliere chi vorrebbe cambiare ma non possiede la forza per farlo, fino all’ultimo.

Tornando ai protagonisti, la precarietà della vita di Pee Wee e Joe salta subito agli occhi e si trascina per decenni. Se da un canto sembrano inconsapevoli degli atti che stanno compiendo, dall’altro appaiono sicuri che la strada scelta sia l’unica percorribile. Il sentimento che li lega a Harlem è indefinibile, una sindrome che scava nel loro cuore e si fa spazio, combattendo persino il talento che possiedono.

Tornando al basket, non mi interessa vincere, mi interessa dare un’opportunità.

La trasformazione dei personaggi, pur seguendo i cambiamenti avvenuti nel corso della storia reale, riesce a sostenere il patto narrativo dall’inizio alla fine. Prima di tutto il romanzo è ben strutturato, non vi sono istanze narrative che rendono lenta o noiosa la lettura ed è visibile l’impegno, lo studio e la ricerca che soggiacciono alla storia. In seconda battuta il ritmo è incalzante e la tensione narrativa è presente nei momenti in cui Pee Wee e Joe in particolare devono compiere delle scelte o si trovano davanti a ostacoli insormontabili. infine la Parte Terza e Each one teach one lasciano spazio a una narrazione sobria, dettata da un ritmo in cui si nota il passaggio dalla prima maturità all’età adulta.

Mi prende a pugni sulla schiena e io invece vedo solo il cartellino con scritto Kleopatra.

Una corrispondenza presente nel quartiere di Harlem e nella vita dei suoi abitanti si può riassumere in una sola parola: poliedricità. Durante la lettura si parteggia per uno, poi si dovrà avere a che fare con l’altro. I punti di vista si scontrano, poi si eguagliano e passano all’improvviso a una gerarchia. Tali movimenti durante la lettura fanno riflettere sulla complessità di un quartiere urbano che ha risentito delle dinamiche socio-politiche ed economiche scontratesi con una cultura salda nei suoi principi, ma altrettanto conflittuale proprio per le diversità interne. La possibilità di coesistenza è resa critica dalla precarietà della quotidianità, dalla fragilità umana, dall’impossibilità di costruire una rete comunitaria solida su cui riflettersi, ma anche in cui agire. Da un quartiere che pare non dia prospettive di vita, ma solo un’esistenza votata alla sussistenza si ha l’impressione che esso sia attraversato da tre correnti: un continuo movimento teso verso l’azione cieca, una staticità che immobilizza il pensiero e aliena dal futuro e una riserva pulsante di energia inestinguibile per coloro che vogliono afferrarla e farla propria.

Sembra che al vita da queste parti vada in questo modo, ma ci sono tante altre vie per vivere bene, Joe.

Ho apprezzato la lucidità con cui l’autore è riuscito a integrare alla parte storica la narrazione di personaggi di fantasia e le modifiche cha ha apportato a certe vicende, come l’inserimento di Jack Molinas (trovi tutte le informazioni in merito nelle note del romanzo) e di Gary Davis (ti stupirà!).

Goat non diceva nulla, gli lasciava il tempo di cui aveva bisogno per ammortizzare i colpi della memoria. Passarono sotto al ponta e finalmente arrivarono al Rucker Park.

Il connubio tra narrazione ‘raccontata’ e ‘mostrata’ è equilibrato; farei un appunto solo sulla descrizione dei personaggi e prendo d’esempio il caso di Holcombe (pag. 80): nonostante si tratti di un modo conciso e puntale di dipingere la modalità con Holcombe si approccia alla vita, vederlo in forma narrata e non mostrata attraverso un’azione o una relazione con altri personaggi, ha reso necessaria l’evocazione del personaggio, a discapito dell’esperienza di un personaggio in quanto agente e portatore attivo di certi comportamenti, abitudini e valori. Il medesimo modo di descrivere l’ho ritrovato anche nel reverendo Williams e in Boss, mentre in Goat, Pee Wee e Joe è presente una narrazione che favorisce la partecipazione attiva dei personaggi. Presumo che la scelta possa essere dettata da una praticità maggiore nelle gestione del personaggi.

Consiglio ‘Harlem’ ai lettori che hanno voglia di approcciarsi a una storia di un discusso quartiere di New York per scoprire, tramite una prosa incisiva, avvenimenti e personaggi, reali e di fantasia, che insieme rendono omaggio alla storia del basket di strada. I sogni perduti possono essere ritrovati.

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Scheda Libro

  • Autore: Luca Leone
  • Titolo: Harlem. You write the rules
  • ISBN: 9788868614423
  • Casa Editrice: Infinito Edizioni
  • Collana: GrandAngolo
  • Genere: Romanzo storico
  • Pagine: 480
  • Prezzo: € 17,00 cartaceo, € 6,99
  • Pubblicazione: settembre 2020

— Ringrazio la casa editrice Infinito Edizioni e Luca Leone per avermi dato l’opportunità di leggere ‘Harlem’

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La mia libreria

Il parassita, di Arthur Conan Doyle – Recensione

ARTHUR CONAN DOYLE – IL PARASSITA – GENERE NARRATIVA/CLASSICI

Titolo: Il Parassita

Autore: Arthur Conan Doyle

Edizione: Caravaggio Editore, 2020

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Una buona giornata Lettrici e Lettori del blog! Oggi vi propongo la lettura del romanzo breve di Arthur Conan Doyle “Il Parassita” edito Caravaggio Editore, presente nella collana I classici ritrovati, diretta da Enrico de Luca. L’edizione, integrale e annotata, è curata da Andrea Oscar Ledonne, estimatore di Arthur Conan Doyle, laureato in Giurisprudenza, amante di letteratura, storia, epica e mitologia.

Prime impressioni

Le opere di Sir Arthur Conan Doyle sono in “lista lettura” da un bel po’ di tempo ormai… però le opere più conosciute e il noto personaggio Sherlock Holmes dovranno attendere ancora un po’ perché sono stati anticipati da Il Parassita, romanzo breve di Conan Doyle che ha suscitato in me un’immediata curiosità. Mi sono chiesta, perché non avevo mai sentito parlare de Il Parassita? Forse perché il protagonista non è Sherlock Holmes? Magari per dimenticanza? Chi può dirlo! In ogni caso è stata una felice coincidenza scoprire la penna di colui che ha creato il “giallo deduttivo” attraverso una delle sue opere non troppo note al grande pubblico. 

Trama

Il Parassita, come anticipato, è un romanzo breve che si snoda in forma di diario in cui vengono narrate le vicende del Professor Austin Gilroy, brillante docente universitario. Devoto al metodo scientifico, con una brillante carriera ben avviata, convinto di trovare nella razionalità le risposte ad ogni quesito e innamorato della dolce Agatha, si lascia trascinare dall’ipnotico mondo del soprannaturale, dell’occulto e del mistero attraverso la conoscenza di Miss Penclosa tramite il suo amico, il Professor Wilson. Il Professor Gilroy annotata minuziosamente sul suo diario ogni incontro con la stravagante Miss Penclosa e tutte le sensazioni e gli eventi che man mano si snodano, in maniera sempre più concitata fino alla fine del libro.

La lettura 

Appassionante e affascinante sono le prime parole che mi vengono in mente quando penso a Il Parassita. La storia tra Miss Penclosa e il Professor Gilroy è una sorta di conflitto, di messa in discussione dei principi che orientavano il periodo ottocentesco: da una parte la razionalità e dall’altra l’occulto, il soprannaturale, il mistero, in particolare in questo romanzo breve a fare da padrone sono il mesmerismo e l’arte ipnotica. 

La forma di diario permette di immergersi totalmente nella lettura fin dalle prime pagine, le quali iniziano come una fresca brezza e poi, con le parole del Professor Gilroy ci si immerge con uno schiocco di dita nelle sue riflessioni che si dividono tra la pura razionalità e la possibilità che ci sia qualcosa di inspiegabile attraverso la scienza. 

Il romanzo è una perfetta espressione del periodo vittoriano, soprattutto nella caratterizzazione del personaggio di Miss Penclosa, la cui alterità è anche ciò che attira e affascinata il Professor Gilroy: una persona straniera, storpia, apparentemente dotata di poteri che superano ogni comprensione del concreto Gilroy, personaggio opposto a Miss Penclosa. 

Un’altra caratterizzazione che ho trovato interessante e fonte di riflessioni di genere è stata Agatha, la bellissima e dolcissima Agatha. Ella viene messa in risalto nella sua assenza, nei pensieri di Gilroy, paladino della sua bella che non ha potere né volontà, un Essere-Donna-Angelo, dotata di una personalità dettata dalla leggerezza, mistificata dal punto di vista del futuro marito che la osserva come potrebbe osservare un rarissimo e fragile cristallo da conservare e non un soggetto dotato di volontà. Opposta e dicotomica, che rispecchia un altro elemento del periodo vittoriano, che consiste nell’ideale femminile e nella tetra situazione delle donne, è proprio Miss Penclosa; guardandola con più attenzione, nonostante la sua alterità e il suo aspetto fisico, a mio parere volutamente sminuito, la sua volontà riesce a piegare le volontà di personaggi che appaiono come i paladini della rettitudine, quando invece, tramite i suoi atti, si riscoprono deboli e fragili e nel terrore della loro fragilità, agiscono tramite la frenesia che ne deriva, la quale non fa altro che scatenare in loro terrori primordiali, impulsi istintivi. Privati del loro effimero status, alla ricerca di una spiegazione dal loro unico punto di vista, che scade nell’ideologia della Ragione, i personaggi non si riscoprono, bensì si riavvolgono in se stessi, rimangono basiti, indagano solo nel momento in cui ciò che esperiscono è a favore delle loro tesi, non alla ricerca di una confutazione, ma di conferme che sottomettono le diversità e sfondano ogni confine e limite.

Il parassita è l’ossessione di Austin Gilroy nei confronti di Miss Penclosa, l’idea che lei sia in grado di seguirlo, di possedere il suo “io”, di ipnotizzarlo al punto da portarlo lontano da Agatha e dalla sua carriera universitaria. Gilroy trova in Agatha un’ancora di salvezza, una persona che non lo abbandona, non lo rimprovera, non gli dà prova della sua fragilità perché è lei che assurge alla figura ingenua e pura e proprio nella certezza che Agatha abbia bisogno di una persona che la protegga, la salvi, Gilroy trova la forza che lo risolleva e gli permette di riprendere parte della sua lucidità. 

Il finale dà scacco all’intera vicenda, all’annaspare continuo di Gilroy e all’egemonia di Miss Penclosa.


Il Parassita è un romanzo che consiglio vivamente per gli spunti di riflessione e la semplicità con cui due argomenti, razionale e inspiegabile, si intersecano e si innervano in due personaggi di eccellente spessore. 


“Era tutto meravigliosamente chiaro, eppure dissociato del resto della mia vita, come gli avvenimenti di un sogno, persino di quello più vivido, potrebbero essere.”

“In molti hanno delle forti volontà che non sono separabili da loro. Il punto è avere il dono di proiettarla in un’altra persona e sostituirla alla sua. “

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I consigli di lettura

Il Diavolo e la Signorina Prym di Paulo Coelho

Il Diavolo e la Signorina Prym: un libro inaspettato nel momento perfetto, quando sono stata pronta per leggerlo.

Titolo: Il Diavolo e la Signorina Prym

Autore: Paulo Coelho

Edizione in possesso:  Bompiani, Milano, 2000

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Prime impressioni

Introdursi ad un autore di questa levatura è sempre un’avventura perché non sai mai come andrà a finire, non sai quale gusto, che tipo di sensazione potrà lasciarti l’opera fino a quando non leggerai l’ultima parola e lo chiuderai. Magari rimarrai un po’ ad osservare la copertina, l’ultima pagina oppure lo riporrai subito nella libreria, al suo posto e inizierai a pensare. Anche il post-lettura dipende sempre dal libro.

La lettura è un’attività e una passione stupenda proprio per questo: la carica emotiva che ogni volta coglie il lettore.

Il Diavolo e la Signorina Prym porta con sé una tale potenza che sarebbe impossibile non percepirla. 


Trama 

Chantal Prym è la ragazza più giovane del paese di Viscos contante qualche centinaio di abitanti; lavora nell’albergo-bottega del paese e la sua vita sembra bloccata nel limbo della quotidianità. Berta è l’abitante più anziana e passa le sue giornate seduta fuori dalla porta di casa. Un lunedì di una settimana qualunque giunge a Viscos uno straniero, accompagnato da un demonio e porta nel suo zaino undici lingotti d’oro. Lo straniero farà a Chantal una proposta che potrebbe cambiare le sorti dei duecentottantuno residenti, ma di cosa si tratta? Una scommessa che porterà ad uno scontro diretto il Bene e il Male, gli angeli e i demoni che ognuno ha in sé, aggiungendo la capacità dell’essere umano di scegliere in qualsiasi momento.


La lettura

Leggere il Diavolo e la Signorina Prym è stata una rivelazione; non tanto per la trama quanto per le vie secondarie e sotterranee che presentano alcuni dei tratti di cui l’essere umano è fatto e con cui deve avere a che fare, scontrandosi per la maggior parte delle volte, per tutta la vita. Chantal Prym è a conoscenza delle intenzioni dello straniero e deve capire se rivelare il segreto ai compaesani oppure lasciare che l’uomo se ne vada dopo sette giorni.

Purtroppo per lei non è così facile scegliere perché ogni notte, per tre notti, il Bene, il Bene e il Male e poi il Male, le fanno visita durante il sonno e a pochi giorni dalla scadenza, lo straniero la informa che se non parlerà lei, rivelerà lui l’offerta che ha deciso per gli abitanti di Viscos. Questa a cui ho appena accennato è solo una delle innumerevoli scelte con cui Chantal dovrà confrontarsi e sottolineo la parola scelta per un semplice motivo: le scelte sono portatrici del cambiamento di cui tutti i protagonisti sono terrorizzati. La paura di cambiare, di lanciarsi verso qualcosa di sconosciuto, solo di immaginato e pensato, di perdere la quotidianità, le abitudini, le sicurezze è uno dei topos principali. A questo si unisce anche la lotta tra il Bene e il Male, che imperversa in ogni essere umano e che proprio si realizza nelle scelte che ognuno compie nella vita. 

La lotta tra il Bene e il Male è il secondo topos che si unisce al primo, la scelta, tramite riflessioni compiute dai diversi personaggi, grazie alle quali si comprende come la vita di ognuno di loro è stata segnata da delle scelte incompiute, dalla paura del cambiamento e dalla paura di agire e di reagire che hanno portato tanti di loro a scambiare la propria vigliaccheria per gentilezza, la gentilezza che viene apprezzata solo nell’atto di compierla, ma che porta con sé tutta una serie di pensieri sull’agire: avrò agito bene? Avrei potuto fare qualcosa di diverso? Avrei dovuto combattere per me? E così via…


Il Diavolo e la Signorina Prym è uno dei quei libri che durante la lettura non lasciano nemmeno uno spazio libero, parlano del genere umano, delle persone e delle loro azioni e soprattutto delle mancanze e delle debolezze che vengono percepite da chiunque, ma che tutti cercano di nascondere.

Questo libro è un viaggio con i personaggi, ma soprattutto un enorme lavoro di introspezione in noi stessi; bisogna sentire di essere pronti per leggerlo e bisogna sentire di essere grado di rifletterci molto dopo la lettura. Non è un libro che va preso alla leggera e bisogna prendersi tutto il tempo necessario per metabolizzare le sensazioni che porta con sé e che lascia. 

Lo consiglio a tutti coloro che vogliano percorrere un sentiero profondo per se stessi, ma anche ai principianti delle letture di questo autore e questo perché? Perché il libro è avvincente, è pieno di considerazioni, è scorrevole ed entra nella mente e nell’immaginazione così bene che sarebbe una perdita non leggerlo almeno una volta nella vita.

Lettura dell’incipit in collaborazione con Elisa Vinci


Estratti 

“Gli abitanti di Viscos familiarizzarono subito con i ritmi dello straniero: si svegliava presto, faceva una colazione sostanziosa e si incamminava verso le montagne…”

Pag. 29

“In nessun momento le passò per la mente di raccontare ciò che aveva udito, di essere la messaggera del peccato e della morte.”

Pag. 33

“Sapeva che, malgrado la via deserta, dietro le tende e le luci spente gli sguardi dell’intera Viscos la stavano accompagnando a casa. Non importava: era troppo buio perché potessero accorgersi del suo pianto.”

Pag. 77


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I consigli di lettura

L’eleganza del riccio di Muriel Barbery

Oggi scrivo dell’Eleganza del Riccio, di Muriel Barbery. È stato un “caso” averlo tra le mani. E meno male. Si deve leggere.


La sua lettura ha accompagnato tutta l’estate e all’alba della metà di settembre, ho gustato l’ultima pagina. Non ho troppo timore di terminare un libro, una saga o chicchesia. I libri sono come noi. Finiscono le loro pagine, non il loro essere stati letti.

L’Eleganza del Riccio, Muriel Barbery, edizioni e/o, Roma, 2010


Iniziato di notte e terminato al calar della sera.

Ma se nel nostro universo esiste la possibilità di diventare quello che ancora non siamo… saprò coglierla e trasformare la mia vita in un giardino diverso da quello dei miei padri?

L’Eleganza del Riccio, Muriel Barbery, edizioni e/o, Roma, 2010 pp. 189

Una di quelle domande che attanagliano le menti delle persone almeno, e sottolineo almeno, una volta nella vita. Così come il quesito sopracitato mi ha infervorata nel procedere della lettura, anche innumerevoli altre parti salienti dell’opera sarebbero tanto da sottolineare, quanto da snocciolare. A un primo impatto, un quesito simile, potrà sembrare piacevolmente fiabesco, gustoso nell’utilizzo delle parole e accattivante.

Apre possibilità alla libertà dell’essere umano; si apre all’ambizione e al progresso delle capacità umane. Eppure, non è forse tutto il contrario? Non è forse una presa in giro il continuo andirivieni quotidiano che ci scalza dai piccoli e fugaci attimi di vera Bellezza, di sensuale Dolcezza, di inconfondibile Verità?

La citazione ha a che vedere con la capacità di vedere oltre desumendo dal presente. Un gioco continuo con il futuro che sorge sulle sponde del passato e naviga i flutti ridondanti del presente, con il continuo flusso di idee, parole, pensieri e azioni. Con la convinzione che ciò che perseguiamo di materiale ci donerà l’Obiettivo. Mentre non pensiamo altro che a ciò, ad occhi altrui la nostra vita è già ben visibile. E se non per tutti fosse così? Dovremmo forse curare la persona in noi piuttosto che la persona fuori di noi? Oppure scovare “in e out” in un corpus unico?

…e soffre della povertà della sua individualità…

L’Eleganza del Riccio, Muriel Barbery, edizioni e/o, Roma, 2010 pp. 195

L’individualità gioca un ruolo fondamentale nelle pagine dell’opera. Si nasconde, osserva, ci scruta mentre passiamo di paragrafo in paragrafo, sogghigna quando la perdiamo di vista. Eppure il punto di vista è doppio ed estremamente personale, allo stesso tempo è intimo e universale. Universale come motivo di comunione dell’immediato senso della Bellezza che accomuna le opere d’Arte. Le immediatezze che si svelano in maniera atemporale all’individuale per mostrare quella che è un’ombra dell’universale. Questa è una mera interpretazione. Fugace e brillante.

L’Eleganza del Riccio brilla nei suoi adombramenti continui operati nella coscienza, per la coscienza, grazie e a causa della coscienza. La causalità pare sfumare tra queste pagine, in un incontro di un punto di vista nascosto e celato, l’occhio, la mente…il tutto che è Renée e l’intelligenza vestita di giovinezza quale viene dipinta Paloma.

Quindi certe piogge d’estate si radicano in noi come un nuovo cuore che batte all’unisono con l’altro.

L’Eleganza del Riccio, Muriel Barbery, edizioni e/o, Roma, 2010 pp. 227

La sinfonia dei sentimenti si staglia all’orizzonte e irrompe pressante nell’esistenza di Renée. Che ci sia un nuovo modo di disvelarsi, di levarsi, di aprirsi e di vivere? Anche Paloma avrà modo di toccare le piogge d’estate. Sono il ricordo serbato in Renée, che maturerà e cadrà nelle mani di Paloma e in seguito di Ozu. Della vita, dopo una rivelazione tale, verrà imposto un ripensamento su tutto l’impianto dell’esistenza e della vista che i protagonisti ne hanno. I modi di vedere: differenti modi di vivere.

E di pensare alla morte.

E alle camelie.


L’Eleganza del Riccio non lascia a mani vuote coloro che desiderano stringere e riflettere sui temi più vari del pensiero umano e dell’esistenza, della sua fallacia e della mortalità, tanto quanto considerazioni sulla semplicità, sulla giovinezza, sull’amore e sulla Bellezza.

 

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Trattato teologico-politico di Baruch Spinoza

Trattato teologico-politico

Baruch Spinoza

Un approccio pertinente al Trattato teologico-politico mette in risalto il significato della filosofia politica spinoziana e il nesso tra quest’ultima e la metafisica. Anche la filosofia della religione, così esposta nel trattato, sembra essere collegata alla metafisica. Il trattato risulta un corpus unico, formato da due sezioni, teologia e politica, che sono momenti di un solo discorso il cui tema centrale è la liberazione da ogni forma di giudizio e di oppressione.


Incipit: “Se gli uomini potessero procedere a ragion veduta in tutte le loro cose o se la fortuna fosse loro sempre propizia, non andrebbero soggetti ad alcuna superstizione. Ma, poiché essi vengono spesso a trovarsi di fronte a tali difficoltà che non sanno prendere alcuna decisione e poiché il loro smisurato desiderio degli incerti beni della fortuna, li fa penosamente ondeggiare tra la speranza e il timore, il loro animo è quanto mai incline a credere qualsiasi cosa; quando è preso dal dubbio, esso è facilmente sospinto or qua or là, e tanto più allora esita in preda alla speranza o al timore, mentre nei momenti di fiducia è pieno di vanità e presunzione.”


Ad apertura di libro: “E poi, a conservare la lingua concorre con i dotti anche il volgo, mentre il senso dei discorsi e i libri sono conservati unicamente dai dotti, i quali, come facilmente possiamo comprendere, hanno potuto bensì modificare o alterare il senso di un passo di un libro rarissimo in loro possesso, ma non quello delle parole; senza contare che, chi volesse modificare il significato usuale di una parola, non potrebbe poi senza difficoltà mantenere tale modifica nel parlare e nello scrivere.”


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Edizione di riferimento per l’articolo: Piccola Biblioteca Einaudi Classici, Filosofia – Torino, 2017

 

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Sulla Carta

Ricordi di Nietzsche – Franz Overbeck

 

Nietzsche non era un grand’uomo nel vero senso della parola. Nessuno dei talenti che possedeva, per quanto ne fosse ampiamente dotato, era sufficiente a conferirgli la grandezza. Neppure il più straordinario, il dono dell’analisi psicologica che, esercitata essenzialmente su se stesso, rappresentò per lui un danno mortale, fino ad “alienarlo” da se stesso, gettandolo nella follia, prima che la morte lo cogliesse.

Queste poche righe sono state quelle che mi hanno convinta più di qualsiasi altro inizio. Un libro piccolo che racchiude un’immane quantità si sentimenti contrastanti e profondi. Nietzsche e Overbeck sono stati amici, il loro legame era basato sull’affetto, sulla competizione, sullo studio, sulla ricerca della verità e della conoscenza.

L’esistenza di Nietzsche è stata caratterizzata dal metodo, dalla caparbietà, dalla creatività, dalla perspicacia e dalla follia; per quest’ultima però, non bisogna rendere grottesco un personaggio di tale spessore filosofico e storico. Nietzsche ha incarnato la figura di colui che teatralizza, che ricerca la vera conoscenza, che porta la volontà a cardine e obbiettivo della potenza, una volontà di potenza, un oltre-uomo, un eterno ritorno. Su queste poche parole si dipanano centinaia di migliaia di libri, ma chi parla di Nietzsche? Dell’uomo che era e che è stato osannato e bistrattato?

Overbeck è una sorgente di inestimabile valore a mio avviso, in quanto ha vissuto con Nietzsche a Basilea e ha avuto modo di essere toccato dalla natura dell’uomo Nietzsche. Era metodico, teatrale, privo di vizi, ma continuamente immerso in un ambiente intellettuale proprio, individuale, in cui la sofferenza, la violenza e il dolore combattevano, si univano e imperversavano senza sosta. Nietzsche non era aggressivo se non verso se stesso; era critico nei confronti degli amici, motivo per cui alcuni di loro si sono allontanati da lui, ma credo che nessuno di loro si sia dimenticato di Nietzsche. D’altro canto la critica era uno dei suoi doni migliori e anch’essa era rivolta contro se stesso, un uso che è stato purtroppo letale.

Nietzsche era certamente un genio, ma la sua genialità risiedeva nel dono della critica. Ora l’uso che egli ne ha fatto, applicandolo particolarmente a se stesso, è stato il più dannoso possibile; un uso fatale. Chi spende in modo così esclusivo tanta energia a fare di se stesso l’oggetto di un talento critico così geniale, è necessariamente destinato alla follia e all’autodistruzione.

E di Overbeck che si potrebbe dire? Un uomo posato, influenzato e trattenuto dalla sua timidezza, ma proprio grazie al carattere mite ha potuto vivere al fianco di Nietzsche senza che venisse travolto dall’uomo che era. Overbeck considerò molte volte il comportamento di Nietzsche come teatrale ma l’affetto che provava nei suoi confronti fu il legame che gli permise di non allontanarsi da lui malgrado le critiche e le vessazioni che altri dovettero sopportare in pubblico. Overbeck fu un amico nell’ombra, un amico che non si aspettava la follia, la quale a suo avviso si presentò come un fulmine a ciel sereno.

Ciò che però Overbeck si rifiutò di fare, è stato assistere al termine di Nietzsche. Andò diverse volte a trovarlo a Basilea, durante il ricovero, ma non partecipò né al funerale, né all’inaugurazione dell’Archivio. Per Overbeck, ciò che Nietzsche era, doveva rimanere intatto, impresso e frutto dell’amicizia sorta tra i due, nell’intimità della ricerca della verità, della volontà, la ricerca dell’eterno e perpetuo circolo della vita. Le vicissitudini della vita li hanno portati su percorsi diversi e Overbeck sembra quasi che se ne rammarichi un po’, ma la particolarità della convivenza, il contatto con Nietzsche, seppur per poco tempo, ha impresso in Overbeck una delle esperienze più profonde della sua esistenza.

In Ricordi di Nietzsche vi sono riferimenti filosofici e discussioni in merito, storie di amicizie e di rapporti epistolari, considerazioni e giudizi di terzi. Ciò che mi ha affascinato maggiormente è stata la continua presenza di una sfumatura nostalgica e velatamente critica nei riguardi dei comportamenti, delle opere e delle esperienze di Nietzsche. I ricordi di Overbeck possiedono una considerevole potenza narrativa e sono precisi, carichi di sentimenti, taglienti e percepibili in maniera chiara. La lettura del libro, a mio parere, non dovrebbe cominciare dalle prime pagine, ma dalle ultime, dal profilo di Overbeck, passando per le note al testo, fino alle indicazioni bibliografiche. Una lettura potente, in grado di far comprendere perché Nietzsche non ascende al termine della vita, ma ascende fin dall’inizio, trascinato, alle volte schiacciato dalla depressione, altre volte abbracciato dall’euforia.

 

Rif. Bibl. Ricordi di Nietzsche, Franz Overbeck. Ed. il melangolo 2000, Recco