Oggi sul blog della Scrivania Letteraria nella sezione dedicata alla promozione autori, Aedifico spazio autori, vi segnalo il romanzo di Angela Ticca, dal titolo Il giardino delle vespe, in campagna Crowdfunding su Bookabook.
Sinossi
Nella Siria dilaniata dalla guerra civile tre bambini, Khaled, Joussef e Ameena, giocano tra le macerie di un palazzo, scoprendo così un giardino abbandonato. Il posto perfetto per costruire il loro rifugio. Una mattina però la bambina rimane vittima di una mina inesplosa, perdendo una gamba. Sarà questo tragico incidente oltre alla crisi del loro matrimonio a spingere i genitori della piccola Ameena a lasciare il paese per intraprendere un drammatico viaggio verso l’Italia, dove però l’integrazione si rivelerà difficile fin dall’inizio. Per questo un anno dopo Ameena insieme al suo amico del cuore Brandon tenterà di tornare in Siria in treno attraverso l’Europa. Ma l’incontro imprevisto con la giovane gitana Kasja e con la sua famiglia di circensi, cambierà per sempre il corso della vita dei protagonisti in un susseguirsi di avvenimenti che porteranno i destini di ciascuno di loro a legarsi in maniera indissolubile.
Biografia
Angela Ticca è nata a Sassari il 15 dicembre del 1972. Nel 1999 ha conseguito con lode la laurea in Giurisprudenza presso L’Università degli studi di Sassari. Ha poi frequentato un corso di giornalismo e collaborato con la redazione del “Quotidiano di Sassari on line”. Dal 2003 al 2006 ha prestato servizio come borsista presso la Camera di Commercio di Sassari dove ha curato la stesura di alcune pubblicazioni. Dal 2007 al 2016 ha gestito un’attività commerciale. Attualmente collabora attivamente con un’associazione di volontariato che si occupa della tutela dei cani e gatti randagi. Nel 2006 pubblica con AndreaOppure Edizioni la sua prima raccolta di racconti dal titolo “Così come la vedo io”. Nel 2017 ha terminato di scrivere il suo primo romanzo intitolato “Il giardino delle vespe”, ora in campagna Crowdfunding su Bookabook.
Preordina il romanzo: come anticipato il romanzo Il giardino delle vespe è in campagna Crowdfunding su Bookabook. Per chi non conoscesse la casa editrice, Bookabook è una giovane realtà editoriale che utilizza la raccolta fondi per pubblicare i libri; questo cosa significa? Significa che ogni lettore è importante e compie una scelta che non consiste solo nell’acquistare in pre-ordine una copia (cartacea o digitale) del romanzo, ma anche nel dare un supporto significativo all’autore dicendogli un “Ehi! Hai scritto un bel libro! Non vedo l’ora di vederlo pubblicato!” Quindi, andate sul sito di Bookabook e trovate il vostro prossimo romanzo e soprattutto visitate la pagina de Il giardino delle vespe, seguendo questo link! Sulla pagina di Bookabook dedicata al Giardino delle vespe troverai anche un’anteprima del romanzo!
Una buona giornata! Oggi vi propongo gli estratti della silloge di poesie Sussurri di Alex Nardelli in campagna Crowdfunding su Bookroad
Estratti
Pagina 1
“A volte invece vorremmo omettere qualche dettaglio, ma non possiamo strappare ciò che abbiamo scritto, perché, per quanto possa far male, fa più male privarsi della verità e rimuovere ciò che siamo stati.
Dimenticare un pezzo di noi non ci aiuta.
Rileggere le pagine ancora umide di lacrime, stropicciate dal dolore e rivedere le nostre cicatrici ci ricorda la forza, il coraggio e la resilienza con ci ci siamo vestiti per poter entrare in battaglia e combattere.
Dopotutto è importante ricordare che siamo ancora qui.”
Una buona giornata a tutti! Oggi vi segnalo il romanzo in campagna Crowdfunding su Bookroad di Arianna Tomba, intitolato Ho provato a non amarti.
Sinossi
Mia, brillante archeologa, è una donna pragmatica e razionale, affatto incline a credere nelle storie d’amore da manuale. Robert, affascinante e carismatico avvocato, è esattamente l’uomo con il quale Mia non vuole avere niente a che fare. Durante un viaggio di lavoro in Egitto, però, le carte in tavola si mischieranno e la ragazza dovrà fare i conti con i sentimenti nati nei confronti dell’uomo: ci sarà il tanto agognato lieto fine per la loro storia d’amore o l’enorme equivoco che li terrà separati per mesi avrà la meglio?
Biografia
Arianna Tomba, nata a Palmanova nel 1995, ha frequentato il liceo linguistico e nel 2020 si è laureata in Finanza, intermediari e mercati presso l’università di Bologna. Da sempre appassionata di letteratura, le piace definirsi una lettrice seriale. Dai grandi classici senza tempo ai più moderni romanzi rosa, non è un caso che la sua autrice preferita sia proprio Jane Austen. Ho provato a non amarti è il suo romanzo d’esordio per BookRoad.
Estratti
“Mi ritrovo ora, esausta più che mai, sotto il mio caldo e confortevole piumone a ripercorrere nella mia testa i momenti salienti della settimana. È un qualcosa che mi viene naturale fin da quando ero un’adolescente. Mi piace ripensare a ciò che mi è successo, ai mille altri modi in cui avrei potuto reagire di fronte alle situazioni e immaginare finali diversi a seconda che ritenga di essermi comportata nel migliore o nel peggiore dei modi possibili. Non so perché, ma i miei pensieri vanno dritti verso qualcosa in particolare che mi ha detto Ella: che anch’io merito qualcuno che mi ami. Probabilmente sarà perché quelle poche parole hanno avuto il pregio di aumentare la mia autostima e ricordarmi che ognuno di noi, nel suo piccolo, è speciale e ha bisogno di una persona con cui condividere il proprio percorso. Oppure, alternativa che ritengo più verosimile, sono le lasagne al sugo di carne preparate da mia madre che proprio non vanno giù.”
“Davanti a me, quasi come fosse una di quelle cartoline da collezione, si ergono maestose la Sfinge e la Grande Piramide del faraone Cheope. Alle loro spalle, fanno capolino le altre due piramidi minori, in onore dei faraoni Chefren e Micerino. Il tutto è circondato da ciò che rimane della grandezza del passato e immerso in un mare dorato, ancora più luminoso sotto i raggi del sole, che a quest’ora ha raggiunto proprio l’angolazione perfetta per incorniciare ciò che le iridi stanno ammirando. In un’unica parola, mozzafiato. Poche cose sono in grado di lasciarmi senza parole: questa vista e la sensazione di piccolezza di fronte alla Storia che mi ha provocato ne fanno decisamente parte.”
Una buona giornata Lettrici e Lettori. Oggi vi propongo in lettura cinque estratti dedicati al romanzo L’appuntamento ideale di Mattia Russo, in campagna Crowdfunding su Bookabook!
Oltre ai brani qui presenti, sul mio profilo instagram @la.scrivania.letteraria, troverete nel corso di questi giorni, a partire da oggi, degli estratti brevi dedicati a L’appuntamento idealee non scordatevi di andare sul sito di Bookabook per ottenere la vostra copia e partecipare così alla campagna crowdfunding!
Vorrei tante cose.
Vorrei scoprire di essere il migliore.
Vorrei che ogni ambito che mi appassiona aprisse le braccia e ringraziasse di aver trovato un talento del mio calibro.
Vorrei saper boxare come i più grandi. Vorrei avere muscoli pronti e addestrati ad un unico scopo. Vorrei poter permettermi di avere la sicurezza della macchina da combattimento nello sguardo. Vorrei poter proteggere le persone a me care non solo con le parole.
Vorrei essere più intelligente. Riuscire a scoprire la prossima rivoluzione del nostro secolo ed entrare nella storia. Vorrei fare così tanti soldi con il mio cervello da non dovermi più preoccupare di usarlo.
Vorrei essere ricco.
Vorrei essere più bello. Colpire al primo sguardo, lasciare quel velo misterioso che rende tutto più affascinante. Vorrei non aver bisogno di aprir bocca per piacere. Vorrei poter scegliere di riprendermi da una rottura semplicemente puntando il dito nella folla femminile di un locale.
Vorrei essere più simpatico. Essere divertente per gli amici e irresistibile per le ragazze. Vorrei avere la facoltà di piacere a tutti, lasciar loro un ricordo unico di me. Vorrei che dopo avermi conosciuto mi ricerchino perché attratti dai miei modi.
Vorrei essere in grado di capire al volo le situazioni. Vorrei sapermi adattare, non dovermi mai alterare e riuscire a vedere sempre il fine ultimo.
Vorrei possedere quell’acume che travalica il semplice cervello. Avere la vista del detective. Vorrei saper osservare, analizzare, capire e infine spiegare.
Vorrei avere classe. Quella che non si fermi semplicemente al saper vestire, ma che sia insita nel tuo essere, nel tuo portamento, nella tua gestualità e dialettica.
Vorrei sapere dar consigli che vengano ascoltati. Vorrei essere la spalla sulla quale chiunque si senta sicuro ad adagiarsi. Vorrei essere sempre presente per ogni persona a me cara. Vorrei poterli difendere anche dal male interiore.
Vorrei essere in grado di riuscire a far avverare i miei sogni. Vorrei essere in grado di alzarmi e cambiare davvero la mia vita con gesti concreti. Vorrei smetterla di crogiolarmi dentro immagini e possibilità che la mia pigrizia ucciderà.
Vorrei essere un bravo scrittore. Vincere numerosi premi ed essere riconosciuto a livello mondiale. Vorrei riuscire a vivere della mia scrittura. Vorrei creare personaggi così vividi che rimangano nell’immaginario di più persone possibili. Vorrei che dalla loro eventuale tragica fine mi vengano mosse accuse di crudeltà.
Vorrei capire ed essere capito. Vorrei usare meno parole possibili, ma riuscire a dire di più.
Vorrei essere di più.
Vorrei essere meno condizionali e più imperativi.
Vorrei riuscire a vivere di meno vorrei.
Vorrei desiderare meno vorrei senza che l’animo mi venga scosso in continuazione.
Vorrei, ma non potrei vivere così.
I dettagli ci fregarono. Le piccole cose incrinarono il rapporto tra i miei. Senza catastrofi questi dettagli si infilarono nella nostra quotidianità, piantando i loro semi. Nutriti da incomprensioni, silenzi, ritardi, discussioni, orgoglio, paura, frustrazione e stanchezza, questi semi germogliarono. E più essi crescevano, più il rapporto tra i miei cedeva, pezzo dopo pezzo, pietra dopo pietra. Quando infine crollò del tutto decisero di costruire il muro. Come una scomoda infezione quel muro tagliò di netto la loro camera da letto. Era abbastanza grande per essere divisa, senza che nessuno dei due dovesse scendere a patti con la scomodità del divano. Il divorzio era ad un passo, leggermente sussurrato.
Mi ricordo bene il giorno in cui gli operai finirono il muro. La parete di mamma era color beige, mentre quella di papà era un bianco spartano. Le due stanze profumavano di vernice fresca. Fui il primo a salire le scale, il primo a vederle e fui il primo a piangere. Realizzai la fine di un’adolescenza felice, tranquilla, normale. Realizzai la fine della famiglia per come la conoscevo. Realizzai la fine di quella stanza, scheletro in un cimitero senza polvere. Avevo perso una discussione che non sapevo neanche di aver intrapreso e non c’era nessuno su cui potermi rifare. Da quel giorno quel muro iniziò a puzzare. Un odore così nauseante da non farmi più avvicinare.
Pian piano lasciai perdere ogni forma di battaglia in casa. I miei genitori erano stati i primi ad arrendersi e io ero troppo inesperto.
I loro orari ormai non combaciavano più. La mattina facevano a gara per uscire prima e la sera per tornare tardi. Raramente si fermavano nella stessa stanza, e quando parlavano era solo per discutere. La piccola luce familiare era diventata lavoro per loro. E io ero lì nel mezzo, coccolato da due estranei che volevano ancora il titolo di genitori, incapaci di esserlo.
Scoprii di non avere la tempra che andavo millantando. Non ero un pugile, ma un codardo.
Iniziai ad evadere da una condizione che non era la mia, una situazione che non riconoscevo come casa. Trovai altri luoghi dove sentirmi sicuro, dove ridere in compagnia. Provai a investire le mie energie in un’altra famiglia, che fossi in grado di scegliere, di cambiare. Abbandonai la casa per i parchetti, le strade e i bar. Mi sentivo me stesso soltanto fuori, lontano da quel muro freddo che testimoniava la mia sconfitta. Riscoprii il sorriso e le risate. Il calore di un gruppo di amici su una panchina in inverno spazzò via la tristezza di ricordi felici. Sopravvivevo in casa, vivevo fuori.
Passai la mia adolescenza come un tossico di tempo a desiderarne sempre di più, lontano da quelle mura. Trascorsi la mia adolescenza scappando da quella situazione, finché non venne il giorno del mio primo addio.
«Non sei stanco di fingere?» disse lei.
Alzai il sopracciglio per la sorpresa e un sorriso di circostanza fece il suo ingresso sul mio viso.
«Fingere cosa, Ana?»
Si chiamava Ana, era sud americana, dalla pelle bruciata dal sole quanto basta per risaltarne le giuste ombre, e mi fissava con quegli occhi neri, che potevano essere sia condanna sia assunzione. Il mio istinto mi suggeriva la prima. Era il nostro primo appuntamento e fino alla domanda iniziale pensai stesse andando tutto bene. Un locale post cena, buona musica in sottofondo, cocktail all’altezza dell’occasione e due persone che parlavano tranquillamente.
Non avevo previsto Ana però.
Aveva dei lineamenti dolci, un sorriso naturale e un naso che i più definirebbero “un po’ troppo grosso”. Nell’insieme era davvero carina e oltretutto era anche intelligente. Mai banale, sapeva ridere alle battute e conduceva dei signori discorsi. Era evidente chi tra i due avesse fatto bingo quella sera.
«Tutto questo. Il posto, gli abiti eleganti, i cocktail, le chiacchere, io, te. Tutto questo teatro che abbiamo messo su soltanto per poi ritrovarci a letto nudi, a sudare per il piacere. Entrambi sappiamo che stiamo recitando questa sera. Da quando ti ho detto di si è iniziato tutto. Hai iniziato a fantasticare sulle diverse scene che avresti, o dovresti, rappresentare per far colpo. E io che penso alle stesse cose. Siamo su un palco, illuminati da una luce così forte che non ci fa vedere che non c’è pubblico. E recitiamo per colpire ognuno l’altro. Se io ti dicessi, qui e ora, che non importa cosa farai, tanto a fine serata verrò a casa con te, scommetto che ti sentiresti più leggero. E io lo stesso. Perché non saremmo più obbligati a recitare una parte, la miglior versione di noi, ma semplicemente ad essere noi. Sarebbe come uscire tra amici, ridere, parlare e, a fine serata, riscuotere un bonus. Ci potremmo conoscere davvero e non aspettare mesi, finché non ci sentiremmo pronti a rivelare i segreti che celiamo ai più. Perché devo aspettare mesi per conoscere il vero te? Soltanto perché vuoi infilarti tra le mie gambe? Guarda, Arturo, raccontami chi sei veramente, raccontami i tuoi sbagli, raccontami quello che stasera non avresti detto e probabilmente il gioco è già vinto. Davanti ad una persona vera allora sarò libera di essere vera anch’io, senza sembrare strana o pazza. Dimmi che non ti accontenti delle apparenze. Dimmi che non sei uno di quelli che spreca tempo a dar loro peso. Dimmi: non sei stanco di apparire la miglior versione di te?»
Il whisky aveva colpito duro, ma anche l’uscita di Ana non scherzò. Secca, diretta, quasi come se il Martini Dry le avesse dato qualche consiglio. E non lo aveva neanche finito.
Sono un sognatore.
Avevo otto anni quando l’ho realizzato. Bagnato, in canottiera e pantaloncini abbinati, sotto un temporale estivo di una forza inaudita. Chiudendo gli occhi riesco ancora a sentire il rumore della pioggia, il suo profumo, i suoi colori. E io, nel grosso cortile di casa, con Black che abbaia come i cani dell’Inferno e nonna Rosa che urla come un’ossessa, sono lì a ridere, testa al cielo, mentre ruoto su me stesso nel tentativo di fermarla. Una piccola peste rossa che disobbedisce. Ho imparato a farlo in giovane età.
Da piccolo condivo le mie giornate con le classiche bugie da pischello. Mi tiravano fuori da guai, o almeno così pensavo, e mi facevano fare bella figura. Quante ne ho toppate. Un raccontaballe non è tanto diverso da un sognatore. Entrambi non si accontentano della realtà, ma immaginano un mondo dietro la siepe talmente vasto da prendere lezioni da Leopardi.
Lo ammetto: sono ancora un raccontaballe.
Una volta detto risulta più simpatico. Se prima condannavo questo mio lato, oggi invece credo di averne capito il perché. Le bugie colorano il grigio della realtà. Non è una semplice giornata se viene arricchita di fantastici dettagli, sensazioni, impressioni. E anche se non erano vere chi può dire che lo sguardo della signora accanto a me al semaforo non fosse di desiderio.
Una bugia, se innocente, non fa del male a nessuno e rende tutto più interessante. Questa è la scusa che uso quando vengo beccato. Un potrebbe essere al posto di quello che è. Un sogno, un’illusione, una presa in giro insomma.
Un sognatore porta con sé anche il fardello degl’altri. Perché quando ti guardi attorno non c’è che la realtà, e i realisti. Nonna Rosa me ne diede tante per la mia bravata. Lei è una realista, di quelle che seguono la lista studio, lavoro, ragazza, casa, matrimonio, figli, pensione e morte. Ripetere.
I realisti guardano a quello che hanno e non a quello che potrebbero avere, e se puntano al secondo non hanno fantasia. Sono grigi impiegati della vita.
E li capisco. Una bugia, come un sogno, non è all’altezza della realtà. Suvvia, viviamo nel presente e nel presente non si vedono i sogni. Per questo una bugia risulta una felicità effimera e un sogno un traguardo irraggiungibile. Eppure mi chiedo perché.
Perché checché se ne dica in giro un sognatore ha notevoli vantaggi rispetto agli altri. Riesce a vedere i colori nel grigio della giornata, nella routine e sente il profumo della positività. È un arcobaleno in mezzo a tante nuvole. Lo considero un’ottimista degli sbagli. E se un raccontaballe può diventare un sognatore, perché non possono farlo gli altri, quelli più onesti?
Tu sei veleno.
Distillato di bellezza liquida che tenta e uccide.
Tu sei veleno.
Iniettato pian piano nel mio corpo, forte baluardo da abbattere, per poi vederne le rovine sorridendo dall’alto.
Tu sei veleno.
Stupendo, limpido, del colore della vita che poi regala morte.
Tu sei veleno.
E io ti ho bevuto. In piccoli sorsi, bagnando le labbra e leccandole, ancora sporche del pericolo. E non me ne sono reso conto, o si? Lo sapevo e ho continuato a bere. Che stupido.
Tu sei veleno.
Hai dichiarato fin da subito le tue intenzioni. Ti ho ascoltato? Forse all’inizio ma poi la tentazione è andata crescendo. La tua bellezza mi ha vinto, mi ha fatto avvicinare al tavolo e ti ho afferrato.
Com’eri morbida, liscia e profumata. Le mie mani scivolavano sulla tua pelle con innaturale dolcezza. Quella stessa dolcezza che non mi appartiene ma che con te mi obbligavo ad usarla. Non volevo romperti, volevo berti.
Tu sei veleno.
Le regole nella mia testa era ben chiare eppure non le ho seguite. C’era scritto di non bere e io ho disobbedito. Perché? Perché? Perché?
Tu sei veleno.
Ti ho permesso di entrarmi dentro. Ti ho lasciato via libera per ogni vena del mio corpo e adesso mi ritrovo a terra, con un rivolo di bava che tocca il pavimento a soffocare nella mia colpa. Ti sento dentro, in ogni attimo della mia giornata e mi fa male. Mi fa male pensare che forse non potrò liberarmene mai più, mi fa male pensare che potrei morire sotto questo peso e non vedo uscita. Il mio sguardo viaggia in ogni possibile direzione a cercare la cura: gli amici, lo studio, il lavoro, gli hobby eppure sei sempre dentro di me.
Tu sei veleno.
Che stupido sono stato. Ho commesso il mio primo errore in amore. D’improvviso fermo davanti a quel tavolo, un’ampolla luccicante domina il circondario e io non ho minimamente pensato a leggerne l’etichetta. Mi sono avvicinato, l’ho afferrata e ho bevuto. Io stesso ti ho permesso di avvelenarmi il fisico e l’anima.
Tu sei veleno.
Cosa pensavo di aspettarmi? L’hai dichiarato al mondo come eri fatta. Sei stata chiara sulla tua pericolosità eppure io ti ho ignorato. Fa così male perché potevo non berti, potevo avere quella flebile speranza che fossi immune, eppure così non è stato. Mi ritrovo ad essere una tacchetta tra i morti per mano tua.
Tu sei veleno.
E ho paura. Paura di non sopravvivere, paura di non riuscire ad alzarmi, paura di essere cambiato. Una paura oscura che mi attanaglia all’improvviso nelle giornate di sole più luminose. È questo il tuo effetto. È questo che mi hai fatto.
Tu sei veleno.
Un’azione stupida vale tale dolore?
Tu sei veleno.
Trama del romanzo L’appuntamento ideale
Un ragazzo di ventitré anni apparecchia il suo appuntamento con la morte. La vasca da bagno è pronta, le sue ultime volontà sono sul tavolo e le vene sono aperte, lasciando scorrere il rosso. Si addormenta rimpiangendo la sua vita piena di delusioni ed essendo convinto di non mancare a nessuno. Si risveglia in una bianca stanza d’ospedale dove, ancora confuso, fa la conoscenza di un enigmatico interlocutore che lo invita a raccontarsi. Inizia così il viaggio attraverso la sua giovane vita, passando per tutti i momenti che l’hanno caratterizzata e che l’hanno portato al gesto estremo. L’appuntamento ideale è un romanzo introspettivo dove a flashback di vita vissuta si intervallano considerazioni sociali, accompagnati dall’odore di una sigaretta tra amici. Non rivela verità universali, ma racconta quei piccoli dettagli che molto spesso diamo per scontato e che in realtà rappresentano le basi su cui crescere.
Lettori e Lettrici del mio blog, oggi vi propongo in segnalazione il romanzo di Mattia C. Russo, intitolato L’appuntamento ideale, in campagna Crowdfunding su Bookabook.
Un ragazzo di ventitré anni apparecchia il suo appuntamento con la morte. La vasca da bagno è pronta, le sue ultime volontà sono sul tavolo e le vene sono aperte, lasciando scorrere il rosso. Si addormenta rimpiangendo la sua vita piena di delusioni ed essendo convinto di non mancare a nessuno. Si risveglia in una bianca stanza d’ospedale dove, ancora confuso, fa la conoscenza di un enigmatico interlocutore che lo invita a raccontarsi. Inizia così il viaggio attraverso la sua giovane vita, passando per tutti i momenti che l’hanno caratterizzata e che l’hanno portato al gesto estremo. L’appuntamento ideale è un romanzo introspettivo dove a flashback di vita vissuta si intervallano considerazioni sociali, accompagnati dall’odore di una sigaretta tra amici. Non rivela verità universali, ma racconta quei piccoli dettagli che molto spesso diamo per scontato e che in realtà rappresentano le basi su cui crescere.
Estratto
“Il suicidio non è qualcosa d’improvviso, sai Freud. Uno non si sveglia la mattina e decide di togliersi la vita. No, è diverso. È qualcosa di pensato, voluto, messo a macerare in un barattolo e poi rispolverato quando è pronto. A volte il barattolo regge e si riesce a rispettare i tempi; altre volte si rompe e avviene l’incidente. Una volta messo nel barattolo però non c’è modo di levarlo da quel liquido, da quel processo, di levarselo dalla testa. Per me il suicidio è stato un barattolo.”
Biografia
Sono nato un sabato di novembre nel giorno più sfortunato per eccellenza. L’infanzia è trascorsa felice tra la scuola-parco giochi, la televisione-schiavista e il polveroso campo dell’oratorio dove ho conosciuto gli amici di una vita. In prima media arriva il fatidico anno X. Il nome è dovuto all’innumerevole quantità di radiografie e lastre fatte. Ho un’innata predisposizione ai guai, non ho mai pensato alle conseguenze delle mie azioni e l’ho fatta franca più volte di quanto avrei dovuto. Finito il liceo ho perso cinque anni tra università sbagliate e lavori a vicolo cieco, prima di trovare la mia strada, laureandomi con il massimo dei voti. Mi piace leggere, scrivere e viaggiare. Ho continuato ad allenare il primo fin da piccolo; il secondo lo pratico in un periodico e in un web magazine, mentre il terzo è più recente, scoperto grazie ad un’associazione di volontariato internazionale.
Ciao a tutti! Oggi vi segnalo un libro in Campagna Crowdfunding con Bookabook!
IL RISVEGLIO DI GIUDA, di Fabio Suraci
Trama In una calda notte romana la Sacra Sindone viene rubata dai musei vaticani. La reliquia viene affidata ad un uomo dotato di una vista fuori dal comunque il cui compito sarà quello di studiare il sudario e svelare il segreto che ha tenuto nascosto per 2000 anni.
Ne “Il risveglio di Giuda” l’argomento religione fa da sfondo al fulcro dell’opera, il quale si rivela articolato nel labirintico intrigo delle vicende dei protagonisti, la loro personalità, le capacità soprannaturali di alcuni di loro…capacità che li metteranno in pericolo, in fuga dai nemici e che faranno ritrovare vecchie amicizie, stringerne nuove e vedrà sbocciare l’amore tra le pagine di una matura storia di vita.
Estratto In quel momento due uomini fecero il loro ingresso nell’aula. Uno rimase in piedi vicino all’entrata: indossava un elegante abito grigio chiaro. Poteva avere una quarantina d’anni. Isabella lo guardò per un istante, ma non lo conosceva; quindi spostò l’attenzione sull’altro uomo appena entrato. Questi vestiva di nero, o almeno così le sembrava perché la sua attenzione era tutta concentrata sul viso. L’uomo si era spostato verso la finestra che dava sul parco. Isabella riusciva a vederlo solo di profilo, ma c’era qualcosa di malinconico nello sguardo di quell’uomo che la rapiva.
Romoncelli guardò verso l’uomo in grigio, annuì e si alzò. Girò attorno alla cattedra e si mise davanti ai ragazzi, osservandoli.
Istintivamente Isabella presagì qualcosa; d’altronde non c’erano state ancora ripercussioni riguardo la discussione avuta solo qualche giorno prima. Era quindi logico presumere che fosse giunta l’ora della resa dei conti, anche se non riusciva a capire la presenza dei due uomini. Quello vestito di nero osservava il panorama a braccia conserte senza preoccuparsi dei presenti.
«Signorina Giudice…» attaccò Romoncelli.
Ecco ci siamo, pensò Isabella sistemandosi meglio sulla sedia. Il cuore accelerò i battiti. Ma quand’è che avrebbe imparato a starsene un po’ zitta? Si rimproverò nuovamente schiarendosi la voce. «Sì?»
Jordi la toccò con un ginocchio, in un chiaro segno di ammonimento ad andarci piano. Lei gli restituì il tocco con maggior forza, come a dire: “Sì, lo so”.
L’uomo in grigio la stava osservando serio, mentre quello vestito di nero preferiva il panorama oltre il vetro.
Romoncelli guardò verso l’uomo in grigio e questi annuì, quindi il professore tornò a rivolgersi verso Isabella. «Signorina Giudice, come da me richiesto qualche giorno fa, ha riletto la parabola dell’albero di fichi?»
«Non mi piace» sussurrò Jordi.
«Neanche a me» convenne lei, poi rispose. «Sì, professore, l’ho fatto». Con tono pacato provò a chiarire che secondo lei sull’albero non c’erano frutti e di conseguenza non poteva offrirli come doni, cercando di evitare l’ipotesi che la maledizione di Gesù fosse dovuta al fatto che non lo aveva sfamato.
«Non mi sembra che la rilettura della parabola sia servita molto. Vede, signorina Giudice, Gesù ha usato l’albero come un simbolo; lei non deve vedere l’albero di fichi in quanto tale, ma ciò che Gesù vuole indicare».
Tutto si stava ripetendo, esattamente come la settimana precedente, solo che questa volta c’erano i due misteriosi uomini come pubblico aggiunto e a Isabella la cosa proprio non piaceva. In quel momento avrebbe desiderato nascondere le proprie idee.
Info dell’opera:
Autore: Fabio Suraci
Titolo: Il risveglio di Giuda
Casa editrice: Bookabook
Anno di pubblicazione: 2020, tuttora in campagna crowdfunding
Formato e prezzo: Cartaceo 18 euro ed ebook 6.99 euro
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