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Fedone o sull’Anima di Platone

Fedone o Sull’Anima

Platone

Il Fedone è la storia di una morte, quella di Socrate e, allo stesso tempo, è il racconto di una nascita, quella della metafisica occidentale, che proprio nelle pagine di questo splendido dialogo vede la luce. Il racconto dell’ultima giornata di Socrate nel carcere di Atene diviene, per Platone, il luogo decisivo per tenere un altro discorso sulla morte: un discorso diverso da quelli della religione, dell’arte o della scienza, un discorso che non si limita a inaugurare un modo nuovo di parlarne, ma si spinge fino a intrecciare la morte e la filosofia in un abbraccio indissolubile. Dopo il Fedone, la morte non potrà più essere, per il pensiero, qualcos’altro a cui pensare, un pensiero particolare, un determinato oggetto del pensiero. Dopo il Fedone, la morte si porrà, sin dall’inizio, insieme al pensiero. Dopo il Fedone non si cesserà di pensare alla morte che cessando di pensare”.

Incipit:

“Echecrate: < Quel giorno in cui bevve il veleno in carcere, con Socrate c’eri proprio tu, Fedone, o ne ha udito il racconto da altri?>

Fedone: < C’ero proprio io, Echecrate>

Echecrate: < E allora, quali furono le parole che quell’uomo disse prima di morire? E come morì? Tanto volentieri lo ascolterei! Infatti, in questi giorni nessuno dei cittadini di Fliunte va per commerci ad Atene ed è un pezzo che da quella città non viene uno straniero capace di raccontare con esattezza quegli avvenimenti, oltre al fatto che bevve il veleno e poi morì. Su tutto il resto nessuno sa dire nulla>”

Ad apertura di libro:

“Ma allora,” aggiunse Socrate, ” non è necessario dire lo stesso anche di ciò che è immortale? Se l’immortale è anche indistruttibile, allora è impossibile che l’anima, quando la morte le si avvicina, possa essere distrutta, dal momento che, attenendosi a quanto si appena detto, essa non sarà mai disposta ad accogliere in sé la morte e quindi non potrà morire secondo la stessa argomentazione che abbiamo sviluppato per il tre, che non potrà mai essere pari, come non potrà mai essere dispari, e per il fuoco, che non potrà mai essere freddo, come non potrà mai esserlo il calore che, appunto, si trova nel fuoco. Tuttavia, qualcuno potrebbe farci la seguente obiezione: ‘Ma che cosa impedisce che il dispari, anche se non diviene pari come si è ammesso, all’avvicinarsi del suo contrario venga distrutto e al suo posto si generi il pari?’ A chi formula questa precisa obiezione non potremmo certo controbattere che il dispari non viene istrutto, perché il dispari non è indistruttibile. Ma se avessimo ammesso anche questo passaggio, allora potremmo facilmente controbattere che, all’avvicinarsi del pari, il dispari e il tre lasciano il loro posto e se ne vanno, e potremmo ribadire lo stesso per il caldo e per il fuoco, come per tutto il resto. Non ti pare?”

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