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Il parassita, di Arthur Conan Doyle – Recensione

ARTHUR CONAN DOYLE – IL PARASSITA – GENERE NARRATIVA/CLASSICI

Titolo: Il Parassita

Autore: Arthur Conan Doyle

Edizione: Caravaggio Editore, 2020

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Una buona giornata Lettrici e Lettori del blog! Oggi vi propongo la lettura del romanzo breve di Arthur Conan Doyle “Il Parassita” edito Caravaggio Editore, presente nella collana I classici ritrovati, diretta da Enrico de Luca. L’edizione, integrale e annotata, è curata da Andrea Oscar Ledonne, estimatore di Arthur Conan Doyle, laureato in Giurisprudenza, amante di letteratura, storia, epica e mitologia.

Prime impressioni

Le opere di Sir Arthur Conan Doyle sono in “lista lettura” da un bel po’ di tempo ormai… però le opere più conosciute e il noto personaggio Sherlock Holmes dovranno attendere ancora un po’ perché sono stati anticipati da Il Parassita, romanzo breve di Conan Doyle che ha suscitato in me un’immediata curiosità. Mi sono chiesta, perché non avevo mai sentito parlare de Il Parassita? Forse perché il protagonista non è Sherlock Holmes? Magari per dimenticanza? Chi può dirlo! In ogni caso è stata una felice coincidenza scoprire la penna di colui che ha creato il “giallo deduttivo” attraverso una delle sue opere non troppo note al grande pubblico. 

Trama

Il Parassita, come anticipato, è un romanzo breve che si snoda in forma di diario in cui vengono narrate le vicende del Professor Austin Gilroy, brillante docente universitario. Devoto al metodo scientifico, con una brillante carriera ben avviata, convinto di trovare nella razionalità le risposte ad ogni quesito e innamorato della dolce Agatha, si lascia trascinare dall’ipnotico mondo del soprannaturale, dell’occulto e del mistero attraverso la conoscenza di Miss Penclosa tramite il suo amico, il Professor Wilson. Il Professor Gilroy annotata minuziosamente sul suo diario ogni incontro con la stravagante Miss Penclosa e tutte le sensazioni e gli eventi che man mano si snodano, in maniera sempre più concitata fino alla fine del libro.

La lettura 

Appassionante e affascinante sono le prime parole che mi vengono in mente quando penso a Il Parassita. La storia tra Miss Penclosa e il Professor Gilroy è una sorta di conflitto, di messa in discussione dei principi che orientavano il periodo ottocentesco: da una parte la razionalità e dall’altra l’occulto, il soprannaturale, il mistero, in particolare in questo romanzo breve a fare da padrone sono il mesmerismo e l’arte ipnotica. 

La forma di diario permette di immergersi totalmente nella lettura fin dalle prime pagine, le quali iniziano come una fresca brezza e poi, con le parole del Professor Gilroy ci si immerge con uno schiocco di dita nelle sue riflessioni che si dividono tra la pura razionalità e la possibilità che ci sia qualcosa di inspiegabile attraverso la scienza. 

Il romanzo è una perfetta espressione del periodo vittoriano, soprattutto nella caratterizzazione del personaggio di Miss Penclosa, la cui alterità è anche ciò che attira e affascinata il Professor Gilroy: una persona straniera, storpia, apparentemente dotata di poteri che superano ogni comprensione del concreto Gilroy, personaggio opposto a Miss Penclosa. 

Un’altra caratterizzazione che ho trovato interessante e fonte di riflessioni di genere è stata Agatha, la bellissima e dolcissima Agatha. Ella viene messa in risalto nella sua assenza, nei pensieri di Gilroy, paladino della sua bella che non ha potere né volontà, un Essere-Donna-Angelo, dotata di una personalità dettata dalla leggerezza, mistificata dal punto di vista del futuro marito che la osserva come potrebbe osservare un rarissimo e fragile cristallo da conservare e non un soggetto dotato di volontà. Opposta e dicotomica, che rispecchia un altro elemento del periodo vittoriano, che consiste nell’ideale femminile e nella tetra situazione delle donne, è proprio Miss Penclosa; guardandola con più attenzione, nonostante la sua alterità e il suo aspetto fisico, a mio parere volutamente sminuito, la sua volontà riesce a piegare le volontà di personaggi che appaiono come i paladini della rettitudine, quando invece, tramite i suoi atti, si riscoprono deboli e fragili e nel terrore della loro fragilità, agiscono tramite la frenesia che ne deriva, la quale non fa altro che scatenare in loro terrori primordiali, impulsi istintivi. Privati del loro effimero status, alla ricerca di una spiegazione dal loro unico punto di vista, che scade nell’ideologia della Ragione, i personaggi non si riscoprono, bensì si riavvolgono in se stessi, rimangono basiti, indagano solo nel momento in cui ciò che esperiscono è a favore delle loro tesi, non alla ricerca di una confutazione, ma di conferme che sottomettono le diversità e sfondano ogni confine e limite.

Il parassita è l’ossessione di Austin Gilroy nei confronti di Miss Penclosa, l’idea che lei sia in grado di seguirlo, di possedere il suo “io”, di ipnotizzarlo al punto da portarlo lontano da Agatha e dalla sua carriera universitaria. Gilroy trova in Agatha un’ancora di salvezza, una persona che non lo abbandona, non lo rimprovera, non gli dà prova della sua fragilità perché è lei che assurge alla figura ingenua e pura e proprio nella certezza che Agatha abbia bisogno di una persona che la protegga, la salvi, Gilroy trova la forza che lo risolleva e gli permette di riprendere parte della sua lucidità. 

Il finale dà scacco all’intera vicenda, all’annaspare continuo di Gilroy e all’egemonia di Miss Penclosa.


Il Parassita è un romanzo che consiglio vivamente per gli spunti di riflessione e la semplicità con cui due argomenti, razionale e inspiegabile, si intersecano e si innervano in due personaggi di eccellente spessore. 


“Era tutto meravigliosamente chiaro, eppure dissociato del resto della mia vita, come gli avvenimenti di un sogno, persino di quello più vivido, potrebbero essere.”

“In molti hanno delle forti volontà che non sono separabili da loro. Il punto è avere il dono di proiettarla in un’altra persona e sostituirla alla sua. “

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Amazzonia di James Rollins

JAMES ROLLINS – AMAZZONIA – GENERE THRILLER/AVVENTURA

Amazzonia è il romanzo di avventura che va a braccetto con il thriller, senza lasciare da parte epidemie, mutazioni genetiche e il Paleozoico.

Titolo: Amazzonia

Autore: James Rollins

Edizione in mio possesso: TEA 2006

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Prime impressioni

Scartabellando tra i titoli della libreria mi è passato sott’occhio questo bel libretto compatto. James Rollins? Non lo avevo ancora letto e dato il titolo “Amazzonia” mi sono prefigurata una bella scampagnata mortale in mezzo alla foresta incontaminata dall’uomo occidentale. Sottolineo questo, uomo occidentale, perché oltre a voler leggere Amazzonia per diletto, avevo anche una seconda intenzione: osservarlo sulla scorta di alcuni libri più impegnati che ho letto in questi ultimi tempi, relativi all’ambiente e alle profonde cicatrici che il cosiddetto progresso umano sembra aver lasciato in maniera indelebile sul pianeta Terra.

Essendo un romanzo di intrattenimento, non mi aspettavo alcuna riflessione profonda e piena di patos e difatti non sono stata disattesa: niente patos, ma una bella storia d’avventura e di…morte.

Trama

È uno spettacolo orribile quello che si presenta a padre Garcia, il sacerdote della missione di Wauwai, in Amazzonia: un uomo emaciato e coperto di piaghe esce dalla giungla e si accascia ai suoi piedi, esalando poco dopo l’ultimo respiro. Padre Garcia non sa che, quattro anni prima, quell’uomo faceva parte di una spedizione scientifica poi svanita nel nulla. La CIA, invece, lo identifica come Gerald Clark, un ex agente delle Forze Speciali, la cui carriera era stata stroncata dalla perdita di un braccio durante una missione in Iraq. Adesso, però, Clark, ha entrambe le braccia. Per trovare una spiegazione a un evento così sconvolgente, il governo incarica Nathan Rand di organizzare una nuova missione per seguire l’itinerario della prima spedizione che sembra condurre al villaggio di una leggendaria tribù. Ma il cuore della giungla nasconde un segreto inviolabile, un segreto che genera paura, follia e…morte.

La lettura

Ogni pedina in questo romanzo gioca il suo ruolo in un valzer di colpi di scena, morti improvvise, cliché, personaggi di uno spessore medio, che ad una descrizione rapida e con qualche battuta classica stereotipata si capiscono immediatamente. Sembrerà un’opinione secca e nemmeno troppo positiva…d’altro canto nei libri io ricerco anche quel famoso altro, il diverso, giusto per farmi un’idea di come vengono percepiti e costruiti i generi, sia da scrittori alle prime armi che dai best-seller. E in questo libro ho potuto ritrovare un altro modo di rendere gli stereotipi non esageratamente pesanti e soffocanti nel corso della lettura.

Il punto centrale di Amazzonia è la storia; una bolgia di intrighi, di sotterfugi, di storie amorose e familiari a metà, concentrate tutte e vorticanti intorno all’avventura rocambolesca della spedizione che ripercorre le tracce della missione a cui aveva partecipato il padre di uno dei protagonisti, il giovane Nathan Rand, ancora inseguito dai mostri del passato di una morte che lo ha sconvolto e lo ha lasciato con il grande interrogativo: che fine ha fatto mio padre? Molte volte e romanticamente si dice che il tempo guarisca ogni ferita, ma Nathan non accoglierebbe mai un’affermazione del genere; difatti, appena gli viene concesso un barlume di speranza, la possibilità di scovare, forse, il luogo in cui suo padre è stato ucciso (o chi lo sa, perché non avremo sicurezza della sua morte), la accoglie a braccia aperte e parte alla volta del cuore misterioso e inesplorato della foresta amazzonica.

Il viaggio della spedizione, formata da scienziati e forze speciali, è una continua azione; morti, fughe, ombre che li seguono e che solo quando sarà troppo tardi lasceranno visibili le loro tracce. Il gruppo, durante l’avanzata verso il fatidico villaggio dei Ban-ali, una tribù considerata portatrice di maledizioni, pestilenze e morte, perderà uomini e risorse, dovrà far fronte a una fatidica (quanto mai attesa) talpa che metterà i bastoni tra le ruote e i superstiti scopriranno che non sono solo loro i cercatori del tanto agognato villaggio sperduto nella giungla.


Amazzonia è un libro apprezzabile, non troppo impegnativo e come ogni libro che si rispetti per i miei canoni, fonte di domande e di curiosità. In merito al mio interesse esposto all’inizio dell’articolo, in questo libro si ritrovano due fronti: coloro che vogliono mantenere intatta la foresta amazzonica e lasciare spazio alla biodiversità e alle popolazioni autoctone e coloro a cui non interessa minimamente l’importanza di uno degli spazi verdi più grandi del pianeta; questi ultimi sono il volto che più è ravvisabile nei decenni precedenti ai nostri e anche nel mondo odierno. D’altro canto, la dicotomia appena espressa è anche fonte di interesse nei dialoghi dei diversi personaggi e questo è un ulteriore motivo per cui mi sento di consigliarne la lettura; non solo per chi è in cerca di avventura, di azioni truculente, di intrighi, ma anche per chi ricerca un punto di vista critico affondato nell’intrattenimento che riesce a fare breccia nei lettori più di un saggio (giudicato dai più, per sfortuna) ampolloso.

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La Prima Radice di Simone Weil

LA PRIMA RADICE

Preludio a una dichiarazione dei doveri verso l’essere umano

Simone Weil

Il radicamento è la necessità prima dell’anima, tanto difficile da individuare quanto complessa da spiegare e implementare con nozioni e dimostrazioni stringenti. Il radicamento è il tema centrale su cui pone l’attenzione Simone Weil. Dal radicamento costituisce il terreno per il soddisfacimento di altri bisogni che non possono essere presi in considerazione e analizzati nel momento in cui entra in gioco la controparte del radicamento, lo sradicamento che provoca una perdita di collegamento tra spazio e tempo e un’incomprensione sull’importanza geografica per l’essere umano. Perdendo le nozioni basilari, si perde anche la possibilità di realizzazione e di soddisfacimento dei bisogni.

Considerazione


Incipit: “La nozione di obbligo sovrasta quella di diritto, che le è relativa e subordinata. Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l’obbligo cui esso corrisponde; l’adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. L’obbligo è efficace allorché viene riconosciuto. L’obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto.”


Ad apertura di libro: Questa incertezza dovrebbe indebolire i loro legami con la religione; non avviene così; e glielo vieta il fatto che la vita religiosa fornisce loro qualcosa di cui hanno bisogno. Avvertono più o meno confusamente di essere uniti alla religione da un bisogno. Ora il bisogno non è un legame legittima fra l’uomo e Dio. Come dice Platone, c’è una grande distanza fra la natura della necessità e quella del bene.”


Simone Weil - La Prima Radice

Simone Weil – La Prima Radice, SE, collana saggi e documenti, Milano, 2016

Buoni Libri a Tutti!


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Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento – Steven Nadler

Baruch Spinoza e l’Olanda dei Seicento 

Steven Nadler

Grande opera, basata su approfondite ricerche d’archivio. Il libro proietta il lettore ad Amsterdam e, più in generale, nell’Olanda del Seicento, territorio in cui persone identificate come “marrani”, trovavano un campo fertile di nuove opportunità, il tutto “condito” da movimenti politici, religiosi, economici e sociali.

Obiettivo dell’opera di Nadler è esporre in maniera dettaglia la biografia di Baruch Spinoza in un intreccio che dia risalto ai nodi principali che l’hanno segnata; eventi di natura sociale, storica, culturale e religiosa. La figura di Spinoza emersa dall’indagine condotta da Spinoza è quella di una persona che vive veramente un’esistenza concretamente etica, cioè votata ad un comportamento garante della felicità e della beatitudine. L’esistenza di Spinoza era fatta di semplicità, segnata dall’importanza per l’amicizia, dal lavoro (intagliatore di lenti) e dalla riservatezza.

Le prime riflessione maturate in Spinoza erano segnate da un radicalismo che portò la comunità ebraica di cui faceva parte, ad emettere contro Spinoza un cherem, cioè una scomunica. Questo portò in Spinoza una crescita di consapevolezza filosofica e negli anni in cui visse ad Amsterdam, Rijnsburg e Voorbung, instaurò vari rapporti di amicizia e il gruppo formatosi, sensibile alla filosofia, in particolare interessate al metodo cartesiano e alla scienze nuove, condividevano l’esigenza di una religiosità tollerante, meno dogmatica, meno intrisa di pregiudizi e paure infondate.

Maestro di verità e di libertà, Spinoza attirò uomini di straordinario rilievo e, a parer mio, a Spinoza può essere avvicinato il termine di filosofo iconoclasta.

Considerazioni personali e lettura del testo


Steven Nadler è professore di Filosofia e membro del Centro per gli Studi ebraici presso l’università del Wisconsin.


Incipit: “Il 30 marzo 1492, la Spagna commise uno di quegli atti di follia autodistruttiva cui ogni tanto le superpotenze sono inclini: espulse tutti gli ebrei. Per secoli, essi erano stati una ricca e trascinante presenza nella penisola iberica, di cui non a caso anche i musulmani, prima dei cristiani, avevano approfittato. Non c’è dubbio però, che per i figli di Israele la terra nota come Sepharad non era mai stata…”


Ad apertura di libro: “La concezione spinoziana della conoscenza adeguata diventa così la testimonianza di una fiducia incrollabile nelle facoltà cognitive dell’essere umano.” Pag. 261.


A mio parere, direi che un paio di righe rendono l’idea di come Spinoza e il Seicento in Olanda vengano trattati in maniera dettagliata, senza cadere nel “saputo”, ma nello “svolto”, cioè spiega e rende la Storia dinamica in concomitanza con un filosofo che ha prodotto alcuni dei pensatori e dei critici più radicali dei secoli successivi.

Considerazioni personali


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Edizione di riferimento per l’articolo – Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 2009

 

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Critica della ragion pratica – Immanuel Kant

Critica della ragion pratica 

Immanuel Kant

Traduzione di Francesco Capra – Introduzione di Sergio Landucci

Pubblicata nel 1788, la Critica della Ragion Pratica è la seconda in ordine cronologico nella serie delle tre critiche; rispettivamente la Critica della Ragion Pura nel 1781 e la Critica del giudizio nel 1790.


Secondo Kant, la “ragione pratica” è ciò che guida l’agire, quindi è esclusa la razionalità teoretica e la razionalità tecnica. Nelle trattazione Kant afferma che un’azione è moralmente valida quando soddisfa il criterio di universalizzazione e quando viene compiuta nella interiore adesione alla legge morale. La critica parte della constatazione del fatto che in ogni uomo è presente una legge morale e sostiene che il senso ultimo della ragion pratica è il sommo bene, cioè l’insieme di virtù e felicità.


Incipit: “La seguente trattazione spiega abbastanza il motivo per cui questa Critica non è intitolata Critica della ragion pura pratica, ma semplicemente Critica della ragion pratica in genere, benché il parallelismo di essa con la ragione speculativa sembri richiedere il primo titolo.”


Ad apertura di libro: “Certamente, nell’esperienza di date azioni come eventi del mondo sensibile, noi non potevamo sperare di trovare questa connessione, perché la causalità mediante la libertà deve sempre esser cercata fuori del mondo sensibile, nell’intelligibile.”

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Edizione di riferimento per l’articolo – Economica Laterza

 

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Critica della ragion pura – Immanuel Kant

Critica della ragion pura 

Immanuel Kant

Prima e più conosciuta opera di Immanuel Kant, la Critica della ragion pura è stata pubblicata per la prima volta nel 1781 e poi successivamente rimaneggiata e ripubblicata nel 1787. La seconda edizione è suddivisa in due parti:

  • dottrina trascendentale degli elementi
  • dottrina trascendentale del metodo

Nella critica della ragion pura, Kant si domanda cosa l’individuo possa conoscere. La trattazione si occupa di scienza e metafisica, analizza i giudizi e tripartisce un’ulteriore indagine in estetica trascendentale, logica trascendentale e dialettica trascendentale.

Da ricordare che in questo senso, per trascendentale si intende lo studio della possibilità a priori della conoscenza.


Incipit: “La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le son posti dalla natura della stessa ragione, ma dei quali non può trovare una soluzione, perché oltrepassano ogni potere della ragione umana.”


Ad apertura di libro: “L’intelletto, pertanto, limita la sensibilità, senza perciò estendere il suo proprio campo; e, ammonendola che non presuma di raggiungere cose in sé, ma unicamente fenomeni, si foggia in se stesso un oggetto, ma soltanto come oggetto trascendentale, che è la…”

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Edizione di riferimento per l’articolo – Laterza, Economica

 

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Il codino del Barone di Münchhausen – Paul Watzlawick

Il codino del Barone di Münchhausen

Ovvero: psicoterapia e “realtà”

Paul Watzlawick

Paul Watzlawick, psicologo austriaco, sociologo, filosofo e studioso esperto di filosofia della comunicazione e di scienza comportamentale, vicino al pensiero di Gregory Bateson, ha lavorato del 1960 al Mental Research Institute di Palo Alto. 

Con il suo approccio, potremo comprendere le dinamiche in atto nei differenti sistemi relazionali: interpretazione dei comportamenti, dinamiche intrinseche nei sistemi quali famiglia, aziende, società e politica. Il libro affronta e svela i diversi modi di vivere e di relazionarsi che rendono vani gli sforzi fatti, non solo dai singoli individui, ma anche dagli interi sistemi relazionali umani.

E se dopo questa lettura potessimo librarci all’esterno del nostro punto di vista e osservare il mondo che ci circonda?


Incipit: “Poniamo che una persona assolutamente inesperta di scacchi osservi in un paese straniero altre due persone intente in un’attività chiaramente simbolica: muovere delle figure su una tavola. Poiché questa persona non parla le lingua locale, non può chiedere ai due spiegazioni del loro comportamento.”


Ad apertura di libro: “Nel presente saggio ci proponiamo di esaminare quale “realtà” si costruisca a partire dal presupposto di aver trovato una visione del mondo così definitiva. A tale scopo definiremo ogni volta in astratto gli elementi costitutivi di questa costruzione e…”


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Edizioni di riferimento per l’articolo – Feltrinelli, saggi, 2018
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Memoria del male, tentazione del bene – Tzvetan Todorov

Memoria del male, tentazione del bene

Inchiesta su un secolo tragico

Tzvetan Todorov

Quale eredità ci ha lasciato il XX secolo? Aspetti peggiori dell’uomo da una parte e dall’altra l’imporsi della democrazia con i conseguenti dibattiti sulle guerre umanitarie. inoltre non solo avvenimenti su vasta scala, che hanno investito l’intero globo, ma anche personaggi dotati di tanta spietata lucidità quanto altri portatori di luce in un periodo dettato dalla crudeltà e dal buio permanere del male nelle sue più svariate forme.

Aspetti bui e luminosi del passato recente vengono esposti in questo libro che tenta di insegnare come usare meglio la storia, il passato e la memoria. 


Incipit: “Mi ricordo del 1° gennaio 1950: avevo undici anni, e poiché la data rappresentava già una cifra abbastanza tonda, mi domandavo con qualche inquietudine, seduto ai piedi di un albero di Natale che allora si chiamava albero di capodanno, se avrei raggiunto quella data altrimenti più tonda che è il 1° gennaio 2000”.


Ad apertura di libro: “In verità, l’argomento dei morti probabili ma evitati non sembra del tutto convincente. presuppone un rigore nello svolgimento della storia che quest’ultima non sconosce. Non si possono contabilizzare le morti virtuali: il corso degli avvenimenti si sarebbe potuto evolvere in tutt’altro modo.”

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Edizione di riferimento per l’articolo – Garzanti, gli elefanti saggi, 2015