La Scrivania Letteraria

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La penna – Terza parte

La penna

Terza parte

Le pillole fecero effetto dopo una mezz’ora e Lorenzo, ammansito dagli antinfiammatori, decise di osservare più da vicino i rododendri da cui prima era rifuggito. Erano divenuti la sua passione da piccolo, quando abitava in una lunga e stretta valle in cui l’unica casa decorata dai fiori era quella di nonna Maria. I balconi del caseggiato arroccato sul versante orientale della montagna, a bassa quota, incastonata in una misteriosa faggeta, erano ammantati di gerani rossi e il giardinetto stracolmo di rododendri bianchi da cui sorgeva l’unico esemplare dai boccioli viola. I raggi solari erano amici delle piante e nonna Maria aveva un formidabile pollice verde, così come nonno Domenico Adriano. Entrambi avevano una passione comune: fare l’orto. Avevano eretto dei muretti a secco in un preciso punto del prato incolto vicino alla nuova casa e pian piano avevano riempito il terra pieno di un terriccio nero e leggero al tatto, dando vita a ciò che sarebbe diventato un meraviglioso orto. Appena dopo essere convolati a nozze avevano deciso di cambiare vita: si erano trasferiti dalla città di Bellosa nella valle di Piedironcello. Dopo due anni di ristrutturazioni la dimora aveva assunto un aspetto tanto inquietante, per la torretta dirompente tra le chiome dorate dei faggi, quanto favoloso. Lorenzo era solito appollaiarsi sulla sua cima e giocare per ore con le bambole, intento a portare in scena fiabe e storie raccontate dai nonni prima di andare a dormire. Maria era una sarta rinomata e si occupava di creare le graziose e realistiche bambole di Lorenzo. Ogni nuovo racconto era accompagnato da almeno cinque o sei personaggi. Alla fine della prima estate trascorsa a Piedironcello il bambino aveva collezionato almeno una trentina di bambole. Purtroppo nemmeno una di loro scendeva con lui dalla valle quando giungeva il termine delle vacanze e i genitori, Francesco e Lucia, lo riportavano alla vita cittadina costellata dai soliti impegni: scuola, sport e amici.

Restava solo un vago ricordo dei nonni, impresso nei rododendri che lo circondavano. Sfiorò con delicatezza le foglie e allungandosi annusò i fiori. Non aveva notizie della nonna da qualche mese. Nonno Dome era mancato due anni prima e nonostante la villa in cui risiedeva aveva numerose stanze vuote e un’ala pressoché dismessa, nonna Maria si era rifiutata in modo categorico di trasferirsi. Lorenzo ricordava le urla e i pianti di Lucia che invocava il Signore per far tornare in sé la suocera. Lorenzo non credeva alla Provvidenza né al perdono, nemmeno alla rabbia, ormai anch’essa lo aveva abbandonato. Percepiva in sé una muta disperazione che lo osservava quando andava di notte in giro per la villa deserta, lo spiava dal giardino nelle notti senza luna e gli percorreva le ossa, cercando un modo per instillarsi nella sua mente. Da tre anni resisteva alla follia e guardando il viola morbido ed effimero dei fiori, giunse alla consapevolezza che un giorno o l’altro la pazzia lo avrebbe colto. Solo il tempo avrebbe deciso come mutare la sua storia.

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La penna – Seconda parte

La penna

Seconda parte

I rododendri osservavano Lorenzo ammantato dalle ombre pomeridiane delle tende di lino bianco, intento a leggere un saggio sulla Roma del ‘600. Il tocco delle mani del ragazzo era pregiato per i fiori intrisi di profumo, divenuti pista da ballo di allegre api e gongolanti bombi, disturbati raramente da fatali vespe. Il colore dei petali però, pareva aver perso tono con l’assenza delle cure del padrone di casa, una gioiosa dimora seppur ammantata di un tetro silenzio. Un brivido percorse le gambe di Lorenzo e lui sussultò innervosendosi. Posò la penna e il libro sul tavolo alla destra, poi si affaccendò nella cucina adiacente al salone. Superò i tavolini da caffè e appena le sue mani poterono artigliare il blister di antidolorifici, ingollò un paio di pillole bevendo a canna dalla bottiglia d’acqua. Riposò gli oggetti sull’isola in marmo e rimase a osservare la lancetta dei secondi dell’orologio da muro. Sospirò. A detta dei medici, e secondo l’ultima elettromiografia, le sue gambe avrebbero potuto riacquisire una minima sensibilità, ma non la capacità di movimento. Lorenzo era stufo del parere di chiunque, che fossero esperti, parenti o amici, i quali ancora provavano piacere nella sua compagnia e andavano a fargli visita una volta a settimana per le partite di D&D. Avrebbe potuto scrivere un libro con le parole d’affetto e di incoraggiamento rivoltegli in più di tre anni. Che spreco sarebbe stato. Lui preferiva di gran lunga la storia al dialogo con le persone, soprattutto provava vere sensazioni per lei, imparagonabili rispetto alle vibrazioni provenienti dalle gambe, divenute niente di più che un fastidioso impiccio. La storia era passata, alcune parti dimenticate e altre rivivificate, discutibile nella sua immutabilità, tangibile nei libri, nei documenti, nei manufatti, non di certo estremizzata da emozioni o sentimentalismi che non donavano alcun tipo di energia vivificatrice ai suoi arti molli e striminziti. Lorenzo tornò sul patio e lo sguardo si accinse alle piante, come a volerle abbracciare, poi le rigettò e il gesto si perse nella brezza ballerina. Il giardino gli ricordava Isabella e la notte in cui avevano fatto l’amore, nascosti tra foglie e fiori nonostante il caldo appena accennato del periodo primaverile. Se ben ricordava si era sposata con Guglielmo dopo qualche mese dal loro ultimo, e unico, incontro, poco prima di ciò che era accaduto.