Buon venerdì a tutti! La settimana corre verso il suo epilogo e io sono pronta a scatenarmi in questi giorni! Sono immersa in libri dei generi più disparati e sono riuscita ad accaparrarmi una chicca del 1989 di Carlo Pagetti, di cui parlerò poi nella sezione Legam. Bando a sproloqui, quest’oggi parlerò di Memorie di Taenelies sotto un particolare punto di vista: le scalette e gli appunti e per questo ringrazio Eric, il mio co-autore, che prima o poi trascinerò sulla tastiera!
L’eleganza della tecnologia
Nell’articolo precedente avevo esposto la scintilla della sfida nel momento in cui avevo avuto tra le mani i fogli in cui erano state scritte le idee per il romanzo, ora invece concentrerò la mia attenzione sulle bozze e tutto il corollario di informazioni necessarie ad una buona stesura. Ma dici che è tutto così semplice? Direi proprio di no, difatti non ho iniziato così.
Memorie di Taenelies è il primo romanzo che ho scritto in collaborazione con una persona ed è anche il primo testo per il quale ho dovuto seguire delle bozze, degli appunti e degli schemi. Per la Gloria del Sangue e altri progetti letterari in corso, ho operato e sto tutt’ora operando in maniera contraria: prima butto giù i capitoli e poi, vedendo la mole di informazioni, mi dico ogni volta che, forse forse, una traccia dei capitoli dovrei stilarla e con la stesura di Memorie di Taenelies, il mio punto di vista è mutato.
Ma ripartiamo da Memorie di Taenelies!
Inizialmente, quando ho avuto il piacere di leggere scalette, fogli sparsi, appunti scritti su fogli a caso e descrizioni tanto dettagliate da catturarmi, sono stata ulteriormente rapita dalla confusione; non avevo ancora provato una sensazione del genere, ma mai demordere, quindi ho preso la mia pazienza e ho riscritto tutto, trovando un filo logico che potesse distendere i miei nervi e lasciare spazio alla creatività. Dopo di ché io ed Eric abbiamo dato inizio alla stesura vera e propria e indovinate un po’?! Le scalette e le bozze mi piacciono! Sono “comode”, immediate e sottolineano i punti più importanti. Le scalette, a mio parere, dovrebbero essere snelle, solo appunti e qualche descrizione, non tutto nel dettaglio, altrimenti potresti sentire la tua fantasia “imprigionata” dalle cose che hai già scritto. Un consiglio ad uso personale, non solo per i romanzi, è quello di scrivere delle schede a parte per ogni personaggio, luogo, descrizione di rilievo…qualsiasi evento, oggetto, persona che possa essere sviluppato in futuro, bisogna averlo ben puntato sulla carta, così saranno evitate incoerenze, ripetizioni e costanti descrittive che ormai sono diventate melense quanto lo sciroppo per il raffreddore alla fragola. Bisogna creare una sorta di libro del libro.
Detto ciò, ho operato alcuni cambiamenti nel modus operandi delle stesure a cui ho accennato poco fa: ho iniziato a fare qualche scaletta. Questo significa che sperimentare nuovi modi di scrivere, di organizzare le idee e di renderle dinamiche nonostante la stabilità data dalle scalette, rende uno scrittore più preparato ad avere a che fare con diverse realtà. Scalette, bozze e appunti sono fondamentali, che siano poche o riferite ad ogni capitolo. Le scalette non sono MAI inutili e anche se non hai nessuna voglia di scriverle, dovresti sforzarti di pensare fuori dallo schema costante di scrittura che utilizzi.
Grazie!
NON SOLO PER GLI AMANTI DEL GENERE
Per Memorie di Taenelies sono stata costretta a pensare oltre al mio modo di scrivere e questo mi ha resa un’autrice migliore, pur sempre in erba ma con una consapevolezza maggiore nei riguardi delle infinite possibilità della scrittura e della comunicazione.
La comunicazione è fondamentale; la scienza ha una vocazione democratica e una dimensione intersoggettiva di partecipazione del sapere è la scrittura, con vari livelli, dalla epistolare alla pubblicazione di saggi.
Il periodo storico dal ‘600 al ‘700 vede nascere la pratica della monografia scientifica: i trattati tipici vengono messi da parte e vengono prodotti saggi su un argomento. In questo modo gli scienziati pensano, sperimentano e scrivono; i tre livelli interagiscono e si intersecano continuamente.
Si comunica per richiamare l’atteggiamento che viene dalla ricerca dell’ottenimento di validità. La scrittura della scienza non ha niente a che fare con il resoconto stenografico che detta la natura. Lo scienziato moderno sceglie in maniera critica, lavora sull’inchiesta sperimentale e il testo e combina due forme di esperienza, l’esperienza empirica scientifica e l’esperienza testuale. Esse intrattengono relazioni importanti, intrinseche, che lo storico non può trascurare, anzi deve analizzare.
2. DAI DATI SENSIBILI ALLA SCRITTURA DELLO SCIENZIATO
Gli scienziati partono dalla percezione dei dati sensibili; questo pare un momento vero, però la percezione, dopo, viene corrotta dalla descrizione. Essa sembra essere adeguata, ma non lo è; infatti, i giornali di laboratorio degli scienziati, sono le basi delle attività dello scienziato, persino il suo diario pare un punto primo, però non è così perché lo scienziato scrive a partire dalle sue percezioni, la sua osservazione non è obbiettiva, ma influenzata dalle sue stesse percezioni.
Il problema della scrittura della scienza è stato affrontato quando autore e lettore erano figure distinte. Il diario di laboratorio sembra essere un documento di esperienza individuale in cui autore e lettore appaiono assorbiti l’una nell’altra, invece nei giornali ci sono appunti e raccolte di osservazioni.
I giornali di laboratorio consistono in quaderni che gli scienziati utilizzano per raccogliere gli appunti delle osservazioni e delle esperienze.
Per esempio, Spallanzani ha lasciato una quantità strepitosa di diari e giornali di laboratorio.
Nei diari di laboratorio sono state registrate anche le preoccupazioni per la condivisione di risultati. D’altra parte, senza la condivisione delle verifiche condotte, i fatti non avrebbero basi solide della loro esistenza.
Ciò perché gli scienziati costruiscono i fatti scientifici e l’esistenza di un fenomeno da indagare parte dal rendere visibile e palpabile l’oggetto dell’indagine. Rendere visibile il fatto scientifico.
I dati annotati diventano fatti in primis per se stesso scienziato e poi per comunicare. I fenomeni naturali si esperiscono nella modalità in cui si rende possibile l’esperienza agli altri.
La scrittura è il mezzo per eccellenza di partecipazione del sapere.Fatti e teoria non esistono prima che lo scienziato inizi a tradurre il tutto sulla carta (giornali), per quanto queste pagine siano in prima battuta private. Il protocollo sperimentale verte sulla concezione di una procedura scientifica, basata sulle strategie di convincimento e di autoconvincimento. Lo scienziato scrive durante il lavoro in laboratorio, inteso come il luogo in cui lo scienziato produce innovazione. nel ‘400 e ‘500, i laboratori erano perlopiù luoghi privati e casalinghi, esterni agli ambienti accademici.
Scrivere significa elaborare con un linguaggio ciò che colpisce i sensi e come muovono le mani dello scienziato. Linguaggio inteso come verbale e non verbale, passante per schizzi e diagrammi, fino a disegni e schemi. Nell’ambiente scientifico, sono sorte in seconda battuta numerose e variegate regole precise di comunicazione, diverse dalle altre comunicazioni.
3. PROCEDURA DI SCRITTURA DELLO SCIENZIATO
Le mani dello scienziato si muovono secondo una procedura fissata e cosi può costruire i suoi soggetti.
Lo scienziato scrive un resoconto ordinato, si costringe a questo metodo per ciò che osserva e sperimenta
il resoconto ordinato comporta idee chiare. Riorientamento e chiarificazione: caratteristiche che vanno a modificare il corso delle indagini.
sinergia di scrittura e lettura che orienta o e guida il corso successivo e futuro delle indagini.
giunge a sicurezza del metodo quando fissa sulla carta. Inoltre, sviluppi alternativi possono esser conseguenza di sforzi nell’organizzazione delle informazioni sulla carta.
Scrittura: passato e presente dell’attività scientifica. Scrivere è un’attività volta al passato se si intende come scrittura per la memoria e per sedimentare. Se la scrittura è volta al presente, si riorienta, produce un cambiamento quando giunge a maturazione e si comprende ciò che è stato annotato e si capisce ciò che è stato tralasciato. L’autore sa le operazioni che ha compiuto, ma il lettore no.
Dimensione materiale della scrittura: disposizione della pagina scritta particolare. Modalità di struttura dell’impaginazione per collocare ciò che non è testo, ma è utile per la redazione del testo definitivo.
Normalità e specificità del testo: numerazione, cronologia, riferimenti bibliografici, sigle di vario genere.
Materiale sperimentale, conflitti e falsificazioni
Testo, gestione degli spazi: dimostra le illuminazioni, le idee brillanti e le sottovalutazioni dello scienziato nei riguardi del soggetto dell’indagine.
I resoconti delle osservazioni hanno spazi cartacei giusti
Le elaborazioni delle osservazioni non hanno una spazio conteggiato in maniera perfetta in quanto lo scienziato ê fautore di una elaborazione critica
Lo scienziato tradisce: scelta intenzioni e modifica tramite costrizione I diari di laboratorio sono una sequenza, non un ordine. Lo scienziato rielabora prima di tutto i contenuti, significa alterare la sequenza dei giornali ed elaborare un ordine giusto, eliminando ciò che è inesperienza e disordine creativo. Purtroppo bisogna alterare il contenuto, evidenziare e far emergere i concetti importanti.
Ridisporre il tutto secondo un metodo che non si è seguito in laboratorio perché non si era padroni di esso, in quanto il metodo è il risultato del percorso, trae elementi da osservazioni concrete e costruisce l’Osservazione, l’Esperienza: costruzioni chiare e delineate.
4. CONDIVISIONE E RIPRODUZIONE DEL SAPERE SCIENTIFICO
Carattere importante che fa capo alla scrittura è la capacità del testo scientifico di riprodurre ciò che lo scienziato vuole condividere e vuole fare sì che altri possano riprodurre e giungere ai medesimi risultati.
Fino al ‘700 gli scienziati erano in solitudine. Avevano necessità di esperienze e di osservazioni testimone: esistono grazie a un metodo particolare di descrizione delle procedure che le reggono, grazie a una grammatica particolare che regola la narrazione.
Gli altri devono ripetere le procedure, ottenendo i miei risultati da scienziato
Le esperienze-testimone:
sono atte alla comprensione, alla dimostrazione e alla testimonianza. Permettono di produrre risultati medesimi ottenuti dallo scienziato
esistono grazie a discipline particolari di descrizioni delle procedure, ovvero sono narrazioni ordinate e credibili conformi il buon metodo
La descrizione avviene in termini precisi in modo da convincere che l’apparato sperimentale non è stata un’invenzione, ma che le procedure siano state veramente condotte e i risultati siano stati effettivamente conseguiti.
Si scrive in maniera da consentire agli altri di compiere le osservazioni, ottenendo gli stessi risultati e al tempo stesso riducendo al massimo i margini della creatività. La precisione è fondamentale nell’illustrazione dei risultati:
le tecniche
le procedure
gli strumenti al fine di mettere gli altri in condizione di ripetere
Le descrizioni delle esperienze, delle osservazioni e delle procedure, se uno scienziato sviluppa una certa abilità nella narrazione, diventano tanto stringenti che l’esperimento può essere anche non riprodotto, ma solo sottoposto a lettura. Le descrizioni autorevoli non necessitano di altre dimostrazioni.
Poter ripetere e non dover più ripetere:
l’autorità passa dall’osservazione/esperienza alla descrizione
ciò che persuade non sono solo i fatti, ma le rappresentazioni e le narrazioni dei fatti
il racconto è prova del fatto stesso
strategie retoriche della scienza: sintesi:
non narrare tutto
uso delle tabelle
collocazione degli esperimenti nel tempo
riproduzione limitata degli errori
Gli errori dimostrano:
Evoluzione del lavoro: fallimenti rendono credibile
Catatio Baenevolenze: farsi amichetto il pubblico. Se anch’io cado nell’errore non c’è da impiccarsi
Contingenza: il racconto del buon metodo è credibile se in qualche raro caso l’errore non funziona. Smascheramento come contingente perché non è norma ma è eccezione da smascherare in quanto eccezione
La scrittura della scienza è qualcosa di diverso dalla letteratura in quanto la retorica dipende dalle scelte epistemologiche dello scienziato. La struttura narrativa della scienza appartiene ad essa, non è un rivestimento della scienza, bensì un elemento intrinsecamente richiesto dalla scienza, non è un’esigenza di stile, ma una necessità propria della scienza, basate su regole e modalità che discendono dalla regole degli scienziati che si sono dati. La nuova scienza è aperta e partecipativa.
Riferimenti: Appunti universitari – Storia della scienza Considerazioni personali
Per completezza e per saperne di più sulla Storia della Scienza, pubblicherò altri articoli e consiglio i testi che ho utilizzato per completezza di studio e di conoscenze: L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, Garzanti, ed. economica. – Paolo Rossi, Dalla rivoluzione scientifica all’età dei lumi, Milano, TEA, 2000.
Lo studio di Carlo Castellani si focalizza sulla biografia di Lazzaro Spallanzani e si sviluppa attraverso avvenimenti di rilievo della vita dello studioso e della risonanza che le osservazioni e la confutazione sulla generazione spontanea, contenute nel Saggio di osservazioni Microscopiche sul Sistema della Generazione de’ Signori di Needham e Buffon (1765), hanno avuto in Italia e in Europa.
1. Dalla nascita al trasferimento a Reggio La biografia ha inizio con uno sguardo agli aspetti legati alla nascita, quali il luogo e la data e allo stato di salute di Spallanzani, passando poi alla presentazione dettagliata della popolazione di Scandiano, la famiglia e le amicizie, sottolineando in seguito il percorso accademico compiuto negli anni dell’adolescenza. Lazzaro Nicola Francesco Spallanzani nacque a Scandiano, mercoledì 12 gennaio 1729, da Giovanni Nicola Francesco Spallanzani e Lucia Ziliani. Al momento della nascita non era in condizioni ottimali, tanto che gli fu impartito il battesimo prima in casa, appena dopo la nascita e successivamente fu officiata la cerimonia in parrocchia. La biografia che più di tutte fornisce informazioni attendibili del primo Spallanzani, è redatta dal fratello Niccolò, il quale si soffermò anche sulla salute e sulla robustezza che Spallanzani ebbe fino al 1795. Della sua infanzia e dei primi anni di formazione non sono giunte rilevanti notizie, se non quelle relative al luogo di nascita. Scandiano era un paese prolifico, denominato Feudo, poi Contea, in seguito Marchesato e infine Terra Insigne. A quell’epoca il borgo contava circa settecento abitanti e un notevole numero di famiglie rilevanti per censo, per discendenza o perché possidenti di residenze estive. La denominazione Terra Insigne, con cui era stato designato il marchesato, derivava, fin dai Boiardo, dalla non trascurabile tradizione di personalità di spicco nel campo delle lettere, della pittura, del diritto e della medicina. Spallanzani era primogenito di una famiglia numerosa, il cui padre lavorava come avvocato e notaio ed era piccolo possidente di appezzamenti. Dopo la scomparsa del padre dovette occuparsi dei componenti della famiglia, sia economicamente sia in qualità di capofamiglia. Lazzaro poté contare, per la sua formazione, sui Vallisneri, famiglia della piccola nobiltà stabilitasi a Scandiano. Personaggi rilevanti furono Antonio Senior, cattedra di Medicina a Venezia e Antonio Jr, con il quale Spallanzani manterrà uno stretto rapporto di amicizia ed epistolare. La tradizione riprende l’infanzia di Spallanzani come l’epifania della sua vocazione per le scienze naturali. In realtà, data la concomitanza geografica e cronologica con Antonio Spallanzani jr, si presume che vi sia stato uno scambio di aneddoti e di esperienze. Oltre tutto, la sua inclinazione precoce per i fatti naturalistici non è stata registrata dalla biografia di Niccolò, il quale ne avrebbe certamente fatto cenno. L’incontro tra Lazzaro e le scienze naturali avvenne in maniera fortuita e tardiva, all’inizio della seconda metà del XVIII secolo, invece il percorso di studi iniziò in tenera età; prima con il padre e un sacerdote della comunità. A dodici anni, Giovanni Spallanzani rivolse al Vescovo di Reggio un’istanza per Spallanzani, di modo che potesse prendere gli ordini minori, ma il figlio fu di tutt’altro avviso; a quindici anni, grazie alla borsa di studio della fondazione Vallisneri, si trasferì a Reggio.
2. Dagli studi a Reggio fino alla pubblicazione del Saggio nel 1765 Qui, Lazzaro ricevette la richiesta di prendere gli ordini religioni, ma rifiutò e proseguì gli studi universitari di Filosofia e di Retorica. Dopo il periodo a Reggio, il padre gli consigliò di addottorarsi in Diritto e così si trasferì a Bologna. Durante il periodo bolognese Spallanzani ebbe intensi rapporti epistolari e personali con Laura Bassi, laureata in Filosofia, cattedra in Fisica sperimentale a Bologna e con Antonio Vallisneri jr. Inoltre, studiò greco e francese e si può sostenere che la Bassi lo fece avvicinare alle matematiche. Vallisneri accolse con garbo la notizia del nuovo interesse di Lazzaro e tentò di aiutarlo, fornendogli i testi che non era in grado di reperire a Bologna o che non poteva economicamente permettersi, spronandolo nell’approfondire gli argomenti trattati e incoraggiandolo a proseguire. Le inclinazioni di Spallanzani, fiorite nel periodo bolognese, mostrarono come la via prescelta sarebbe mutata drasticamente, portandolo ad una carriera e ad una vita ben diverse. Infatti, dopo tre anni impegnati negli studi di diritto, Lazzaro decise di abbandonarli e passare alla facoltà di Fisica – matematica. Nel 1756 si laureò e nel 1758 accettò la cattedra di Fisica a Reggio e sempre a Reggio ebbe il suo primo incontro con i rudimenti della microscopia. Dalla seconda metà del 700, si applicò allo studio delle scienze naturali. Il primo microscopista con cui Spallanzani ebbe rapporti fu Needham; questi derivarono principalmente dalle intenzioni di Spallanzani di sottoporre ad un esame critico la teoria della forza vegetativa senza però prendere posizione alcuna, in quanto, all’epoca due sistemi facevano da padroni: epigenesi e preformismo. Tra il 1761 e il 1765, Spallanzani completò la sua formazione di microscopista e sperimentatore. Gli anni cruciali furono il 1763 e il 1764, in cui Spallanzani si rese conto non solo aver mutato opinione nei riguardi del sistema di Needham, epigenista, ma di aver ribaltato l’indirizzo della sua ricerca, allontanandosi dalla sua iniziale posizione. Inizialmente, nel 1761, Spallanzani fece una moltitudine di infusioni di vegetali e i dati sperimentali che raccolse furono a favore della posizione epigenista di Needham; sembra che egli abbia aderito alla forza vegetatrice. In realtà, dopo altre serie sperimentali, raccolte e descritte nella vasta raccolta dei giornali di laboratorio, si comprende come le sue convinzioni fossero basate sulla frenesia del principiante e su dati che erano solamente preliminari. Tra il 1761 e il 1762 Spallanzani cominciò la redazione del Saggio e si dimostrò chiaramente delle medesime idee di Needham, inserendosi nel contesto epigenista, opposto a quello preformista. A metà del 1762 sembra che la stesura del Saggio sia giunta al termine e gli impegni di Spallanzani si concretizzarono nella richiesta a Vallisneri di cercare uno stampatore. Se non che, pochi mesi dopo, lo studioso parve aver perso la foga della pubblicazione, di cui la notizia si stava propagando per l’Europa tramite la stampa. A seguito della mancanza dell’immediata pubblicazione, fino al 1765, incorreranno diversi episodi nella vita di Spallanzani che produrranno il cambio delle prospettive della pratica sperimentale e la critica totale nei confronti della teoria epigenista di Needham, oltre al netto distacco tra i due. Mentre Spallanzani cercava di aumentare il suo prestigio e tentava di essere nominato professore a Modena, Needham intrattenne rapporti epistolari con Bonnet, preformista calvinista ginevrino, informandolo di una prossima pubblicazione di uno studio che gli avrebbe permesso di trovare un ottimo sostegno al suo sistema epigenista. Nel luglio del 1763 Spallanzani riuscì ad ottenere la carica di professore a Modena, ma dovette accettare di prendere gli ordini, in quanto al Collegio S. Carlo di Modena il corpo insegnante era formato da religiosi. Ad agosto dello stesso anno i giornali di Spallanzani, dopo un silenzio durato quasi un anno, vennero ripresi e accolsero il ribaltamento della sua posizione iniziale. Le idee scritte nei diari di laboratorio mostrano che ciò che prima appariva come conferma del sistema di Needham, era divenuto un esame critico, atto alla distruzione delle convinzioni epigeniste. È doveroso sottolineare come Spallanzani non trovò risultati tanto esaustivi da permettergli di affermare le teorie preformiste. Dei preformisti, Spallanzani lesse le Considérations di Bonnet dalle quali non venne influenzato e in cui si ritrovò in accordo per le opinioni espresse nei riguardi del sistema di Needham. In questo panorama di cambiamento e di critica, Needham fu tentato di rinunciare alla sua posizione teorica, ma ciò non interessò particolarmente Spallanzani, il quale era più propenso a promuovere la sua figura nell’ambiente accademico e scientifico europeo.
3. Il Saggio di osservazioni microscopiche in Italia e in Europa Gli sviluppi e la risonanza del Saggio in Italia e in Europa furono esigui e ne derivarono reazioni diverse e opposte. Spallanzani si occupò fin da subito di promuovere la sua opera in Italia e in Europa. Oltre ad inviare copie ai più illustri rappresentanti del panorama culturale europeo, fece recapitare rispettivamente una copia a Needham e a Buffon, altro esponente dell’epigenesi, fortemente criticato nel Saggio. Egli non rispose mai a Spallanzani, né per corrispondenza e men che meno pubblicamente. Per un caso della sorte, Spallanzani seppe da un amico di Buffon, il medico romano Pirri, che lo scienziato aveva ricevuto il volume, lo aveva letto e aveva affermato che le sue convinzioni non erano state per nulla toccate dagli attacchi e dalle critiche rivoltegli. Alcuni rimasero neutrali nei riguardi della posizione presa da Spallanzani, come l’abate Nollet mentre altri accolsero positivamente l’opera; è il caso di ricordare Voltaire e in particolar modo Needham, il quale si impegnò nella propagazione dell’opera negli ambienti culturali più di spicco e influenti. Il naturalista Bonnet ricevette il volumetto sia da Needham che da Spallanzani. Nel primo caso, lo rimandò al mittente, giustificandosi con l’attesa di una copia tradotta in francese, non sapendo l’italiano; nel secondo caso trovò l’opera accompagnata da una lettera in francese. Dopo poco l’invio, Spallanzani decise di spedire una seconda missiva in italiano in cui sottolineò le simili considerazioni a cui erano entrambi giunti, in riferimento alle affermazioni di Needham. Bonnet, dopo averla fatta tradurre, rispose al giovane studioso, pressoché sconosciuto. Questo incontro per corrispondenza è stato l’inizio di un’amicizia che sarebbe durata ventiquattro anni. Sul fronte italiano invece, il Saggio fu accolto da G.B. Beccaria, Canterzani, Morgagni e il Conte di Firmian. Quest’ultimo ricevette il volume dal marchese Frosini e rimase colpito dall’opera, tanto che ebbe voce nella chiamata di Spallanzani all’Università di Pavia e gli mantenne il proprio attivo patrocinio finché visse. Intanto Spallanzani si accordò con Calogerà, editore a Venezia, per pubblicare l’opera e contemporaneamente Grisellini, altro editore di Venezia, ebbe l’intenzione di dare alle stampe le dissertazioni. Questo fatto, dai dati raccolti, toccò Spallanzani, ma non avvenne nessuna riproduzione integrale del volume da parte di Grisellini, in quanto non fu tradotto in altre lingue se non in francese nel 1769, ad opera dell’interesse di Needham, a cui unì una sezione critica al pari per grandezza di un’altra opera. Nello stesso anno, il Saggio venne tradotto in tedesco in un corpus di opere di Spallanzani, tra cui il Prodromo, fonte di interesse e di polemiche in Europa. Il Saggio non venne tradotto in inglese, neppure quando lo studioso acquisì fama in Europa e fu eletto membro alla Royal Society.
4. Critica al Saggio e influenze su altri esponenti Il Saggio di osservazioni microscopiche a suo tempo e per alcuni decenni successivi non venne accolto con clamore e Spallanzani dovette la sua fama solo alle sue produzioni successive, in cui tra l’altro, non fece mai riferimento al Saggio. Dal punto di vista di Spallanzani, il suo primo testo avrebbe potuto essere rivoluzionario in quanto era stato inizialmente neutrale nei confronti di due sistemi contrastanti e polemici, quali l’epigenesi e il preformismo, ma era infine giunto a confutare l’epigenesi e orientarsi verso le osservazioni dei preformisti. Dopo la pubblicazione del Saggio, Bonnet pose lo studioso di Reggio tra coloro che aderivano all’ovismo ed egli trovò forzata la scelta del naturalista in quanto il volume non portava particolari positivi alla teoria ovista. Malgrado le sue riserve non ebbe reazioni negative, in quanto avrebbe potuto trarre dei vantaggi dall’influenza unita alla protezione di Bonnet. Solo dopo svariate osservazioni, esperimenti e una solida base d’appoggio, Spallanzani si ritroverà fermamente convinto del preformismo e dell’ovismo. Nonostante la mancanza di una risonanza nel suo tempo, il Saggio interessò un personaggio di spicco decenni successivi la pubblicazione e questi fu Pasteur, che lo accolse, lo studiò e perfezionò l’esperimento degli infusori, con il quale Spallanzani aveva confutato la teoria della generazione spontanea, pressante e presente nel XVIII secolo.
Appunti universitari
Rif. Bibliografici: Un itinerario culturale: Lazzaro Spallanzani, Carlo Castellani, Centro studi «Lazzaro Spallanzani» di Scandiano – Saggi 6 – Leo S. Olschki Editore MMI – Firenze, luglio 2001 – Storia delle scienze mediche e naturali, cap. I-II
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